venerdì 20 aprile 2007

Tosca

Prologo

Suo padre la mise al pianoforte a cinque anni, e a dieci Maurizia Rugeri si esibì nel suo primo concerto al Club Garibaldi, vestita di organza rosa e scarpine di vernice, dinanzi a un pubblico benevolo composto in maggioranza da membri della colonia italiana. Al termine le depositarono ai piedi diversi mazzi di fiori, e il Presidente del club le consegnò una targa commemorativa e una bambola di porcellana adornata di nastri e di pizzi.
– Ti salutiamo, Maurizia Rugeri, come genio precoce, un novello Mozart. I grandi palcoscenici del mondo ti attendono, - declamò.
La bimba attese che si spegnesse l'applauso, e al di sopra del pianto orgoglioso di sua madre fece udire la propria voce con alterigia inattesa.
- Questa è l'ultima volta che suono il piano. Io voglio diventare una cantante, annunciò, e uscì dalla sala trascinando la bambola per un piede.


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Dalla persiana di camera filtrava la luce che si posava sul suo viso appoggiato sul cuscino, proprio nel momento in cui i sogni lasciano spazio alla veglia. Portava sempre i capelli raccolti in uno chignon, ma ora che dormiva erano sciolti, e illuminati così, ricordavano l'argenteo fluire della Senna nelle notti di luna piena. Si alzò dal letto a fatica, con movimenti lenti si infilò la vestaglia di raso ormai consunta negli orli delle maniche, che abilmente rigirava, come a nascondere un tempo, che imponente e spavaldo si mostrava nelle rughe del viso e sui dorsi delle mani, esili ed eleganti. Ciò che era rimasto immutato era il suo sguardo altero, quegli occhi pungenti che svelavano un carattere deciso ed intraprendente, tanto da nascondere le fragilità del cuore.
Scelse con cura i propri vestiti e gioielli, un tailleur blu firmato chanel, una camicia di seta color avorio, orecchini e collana di perle; raccolse i capelli con gesti antichi e sapienti, passò un velo di cipria sul viso e colorò appena le labbra.
Scese al piano di sotto per la colazione, la sala era quasi vuota, lei era sempre l'ultima; lo preferiva, gli piaceva ingannarsi, fingere di essere in un grand hotel, uno dei tanti dove aveva soggiornato durante le sue tourné. La colazione era sempre la stessa: due fette biscottate con sopra marmellata di albicocche e del tè, perché il dottore gli aveva consigliato di evitare i latticini a causa del suo colesterolo elevato; intanto gli altri tavoli venivano preparati per il pranzo.
Maurizia decise che sarebbe poi andata nella veranda a leggere, visto il bel tempo; il tepore dei giorni di primavera e i profumi della natura che sbocciava la mettevano di buon umore. Aveva dimenticato in camera il libro e chiese a Luana se poteva farle la gentilezza di andarlo a prendere. Luana era l'inserviente piu' cortese, le altre avevano sempre fretta, le rispondevano in malo modo, con arroganza e disprezzo le ricordavano che quella era una casa di riposo e loro non erano le cameriere di un grand hotel. Per questo Maurizia evitava di rivolgere loro la parola, e per quanto le fosse stato possibile, si teneva alla lontana, perché non sopportava di sentire le loro continue lamentele.

Era seduta su una poltrona e guardava i coniugi Venturi che litigavano per accaparrarsi il telefonino e parlare con il figlio, quando giunse Luana e le porse il suo libro. Stava leggendo, per la quarta volta, Anna Karenina; la prima volta aveva vent'anni e fu' per emulare la sua amica Fosca, ne rimase così colpita, che durante la gravidanza, quando aspettava Clara, lo rilesse, questa volta, con una consapevolezza maggiore. Lo riprese in mano quando lasciò Carlo per Vittorio, il suo vero amore. Ora, negli anni in cui sentiva di congedarsi dal mondo, si faceva accarezzare da questo romanticismo, un po' per nostalgia e un po' per pigrizia.
Maurizia usava come segnalibro delle fotografie, quella che teneva ora tra le mani la ritraeva insieme a Vittorio, sugli scalini dell'Opera de Paris Garnier; sul retro stava scritto dicembre 1960 gennaio 1961 – Tosca. Bastò chiudere gli occhi per vedere il teatro pieno di gente, gli sembrò addirittura di sentire gli applausi scroscianti che riempivano l'aria di quelle sere.
Da quanto non cantava piu'? Un'eternità, per lei che si sentiva di vivere solo attraverso gli acuti. L'ultima volta era stato dieci anni fa alla Scala di Milano, sempre con Tosca, aveva voluto chiudere con la sua opera preferita; aveva sperato che almeno in quell'occasione Clara fosse andata a vederla, ma non fu' così. Non gli aveva mai perdonato la sua celebrità, il suo amore per il canto, per Vittorio. Lei da parte sua aveva contribuito a tenerla distante con il suo girovagare per l'Europa, riscuotendo successi e fama.
Così erano passati gli anni, Clara era cresciuta, covando un odio che ingessava i loro dialoghi fino a renderli sterili. Anche quando si era sposata, non le aveva fatto sapere niente, così come quando era nato Ernesto. Maurizia l'aveva saputo da Carla, sua cognata, con la quale si era avvicinata dopo la morte del suo ex marito. In quell'occasione Carla si era dimostrata comprensibile verso di lei, le aveva espresso i propri timori sul carattere di Clara, così intransigente. Maurizia aveva da poco concluso la sua carriera e si era trasferita da Parigi a Torino; in quegli anni, dopo aver dedicato tutta se' stessa al canto, si sentiva chiamata verso quella figlia; probabilmente si diceva, erano i rimorsi a farsi strada a cercare un varco, nell'illusione di rimediare ad egoismi ormai cementificati. Fu' solo dopo il suo ricovero presso la casa di riposo, dopo l'infarto, che Clara si fece sentire; prima con qualche telefonata, poi si instauro' una specie di abitudine, e tutte le prime domeniche del mese andava a trovarla, portando con sé Ernesto, qualche volta.
Maurizia pose la foto nella stessa pagina dove l'aveva sfilata, con le mani appoggiate sul libro, penso' a domani: sarebbe stata domenica, la prima del mese, Clara l'aveva chiamata ieri dicendole che sarebbe venuta con Ernesto.
Oggi, era il giorno dell'attesa, della memoria, con i pensieri che scavavano solchi nell'anima, ora assetata di affetto; di quell'affetto che stentava ancora a farsi strada, ma che bussava forte ai loro cuori, cuore di madre e figlia, di passato e presente; si stavano cercando e cominciavano a trovarsi. Con questi pensieri trascorse il sabato, e si corico' con un misto di serenità e trepidazione.

Finalmente la domenica arrivo', con lei anche il sole, a illuminare le colline circostanti che abbracciavano simbolicamente l'edificio; agli occhi di Maurizia, ogni cosa risplendeva della felicità che le pulsava nelle vene. Solitamente veniva nel pomeriggio, ma questa volta le aveva detto che sarebbero arrivati intorno alle dieci del mattino e che doveva farsi trovare pronta con il soprabito perchè avrebbero pranzato fuori.
Eccoli arrivare per mano lungo il viale delimitato da platani secolari, guardano verso la veranda, per scorgerla; Ernesto saltella canticchiando allegramente e appena la vede muove la mano in segno di saluto, Maurizia ricambia con la mano mentre i suoi occhi si velano di emozioni in boccio. Clara la saluta con un bacio sulla guancia, poi è la volta di Ernesto; vorrebbero portarla al mare, giu' in Liguria, lei accetta entusiasta, non si aspettava proprio questa sorpresa.
La meta è Portovenere, che in una giornata di primavera così limpida è assediata da una folla di turisti, ma per Maurizia ha l'aspetto del paradiso. Appena arrivati hanno pranzato in un ristorantino tipico, poi si sono sedute su una panchina, mentre Ernesto giocava nella spiaggetta davanti. Sono rimaste per un po' in silenzio, dopo Clara ha cominciato a parlare, le aveva anticipato qualcosa durante il viaggio, senza essere sufficientemente chiara; ora, senza la presenza di Ernesto era piu' sciolta. Le disse che aveva incontrato una persona, circa sei mesi fa, durante una conferenza a Roma, si chiamava Mauro, aveva la sua età, era single e si erano piaciuti da subito. Mauro aveva stravolto la sua esistenza, scardinato tutte le sue sicurezze, senza di lui non sapeva stare, era necessario come l'aria; così diceva, e mentre ne parlava sorrideva, soave e leggera, sembrava in volo. Non si erano mai parlate in quel modo, mai c'era stata un intimità tanto spiccata, che penetrava nei pori di ogni centimetro di pelle, inebriando lo spirito. Maurizia si sentiva così, di cio' ne gioiva e rispondeva con sguardi colmi di comprensione e riconoscenza, era come se l'avesse partorita ora.
Clara le disse che aveva deciso di lasciare il marito per Mauro, che solo ora aveva capito la sua scelta per Vittorio, che non pensava potesse esistere una forza così inspiegabilmente dirompente; la prossima volta sarebbero venuti insieme a trovarla e magari sarebbero scesi nuovamente al mare. Maurizia l'abbracciò forte, un abbraccio che conteneva le loro vite, le speranze e le delusioni incontrate, le parole taciute, gli sguardi mancati, le carezze trattenute, che ora sfociavano fluide, incontrollabili.
Quando Ernesto smise di giocare le trovo' mano nella mano, lo sguardo dentro l'orizzonte, si rivolse alla madre e con voce decisa disse:
– venerdì è stata l'ultima volta che mi hai portato a nuoto, i voglio diventare un calciatore!
Un brivido sottile attraversò la schiena di Maurizia. La vita si ripeteva, si perpetuava. Così le sembrò di poter sconfiggere la morte.

Roberta Colombini
Input: racconto Tosca