sabato 15 settembre 2007

Vino Veritas

Radici di secoli
in terra fertile risalgono,
si inerpicano
avvolgendosi in abbracci di pigne,
frutto e raccolta
di mani forti,
piene di storia e fatica,
colme d'amore.

Notti insonni e cicli lunari
fermentano un futuro incerto,
fatto di preghiere,
di occhi attenti
di esperienza sudata,
di dedizione e volontà.

In loro onore
un nettare rosso e rubino,
ambrato e dorato;
cullato in calici di cristallo
inebria l'anima,
riscalda i cuori,
salda amicizie e amori.

Roberta Colombini

Amare

Nell'immobilità degli occhi,
dentro cuori aridi
nella sordità del quotidiano,
camminiamo ignari, di noi
della scintilla divina.
Sospesi nella notte del mondo
come i cercatori d'oro
cerchiamo una pepita d'amore:
scendendo
nell'oscurità degli abissi dell'anima,
nascondendoci
dietro le ombre dei nostri sentimenti.

Riconoscersi,
anche nella diversità
anche nella precarietà dell'esistenza.
Carezzare,
l'altro
il diverso
il nostro fratello.
Risalire
per vedere oltre
per sentire dentro
per amare fuori

come fratelli.

Roberta Colombini

Imprigionata

Imprigionata
a stento respiro un'aria che stringe alla gola,
è un cappio
impalpabile, evanescente,
soffoca gli aneliti
sopprime le speranze.
Di me carnefice,
preparo con cura i dettagli
ricamo i tempi,
per non sfuggire moltiplico le trame
annodo con vigore i lacci del mio esistere.
Preda per bisogno,
per amore.

Roberta Colombini

giovedì 13 settembre 2007

Cerchio di Morte

La Luna piena sorse dal cuore nero del bosco.Una bruma malevola e spessa come una coltre di cenere oscurava i lupi.L'intero branco era raccolto attorno alla Pietra Lunare. Ad uno ad uno gli alpha radunarono i riottosi. Alcuni degli omega vennero letteralmente fatti a pezzi dai capi branco senza pietà, solo per aver ritardato lo schieramento. Non era il momento di indugiare o rallentare il passo dei branchi prima della Caccia. Non c'erano appelli, solo la punizione istantanea. Quella notte loro non erano semplici predatori, ma furie nere rubate al lato malvagio della notte.Fu proprio quanto tutti pensarono che il raggruppamento fosse ultimato che arrivò. Il rumore del passo dei suoi artigli che masticavano il suolo umido del bosco, tuonava imperioso. Un ululato fortissimo annunciò a tutti gli altri la sua venuta. Senza aspettare cenni di risposta saltò da un lato all'alto delle rocce che intersecavano la stretta valle. Atterrò sopra il proprio alpha, preso in contropiede. Le sue fauci si serrarono attorno al suo massiccio collo. Fu solo un istante. Le ossa si spezzarono. Cadde morto prima di toccare terra. Digrignò i denti insanguinati lasciando colare il sangue sul suo manto nero. Chiuse gli occhi. Questa volta il suo ululato, molto più acuto del precedente, fece girare tutti i lupi assembrati per l'attacco. Vedere uno degli alpha fatto a brandelli in un solo colpo, impressionò molti fra di loro.Il resto del suo branco infuriato e atterrito allo stesso tempo si girò per fronteggiarlo. Bastò un solo sguardo ed il semplice denudare le zanne a fugare ogni ulteriore reazione. Era diventato di fatto il nuovo alpha, senza che nessun altro potesse o volesse realmente contestare.Strinse a se i compagni. Morse più volte le code dei più lenti. E quando uno di loro rimase indietro lo azzannò al torso. Lo schianto della cassa toracica fu immediato quanto secco. Il corpo rotolò lungo il budello di pietra e notte. Nessuno altro si fermò, troppa era la paura di finire come i primi due malcapitati. Un sorriso freddo come la notte lo accompagnava, sebbene non avesse una bocca per averlo. La morte correva affianco a lui. La portava dentro al petto, verso quell'Uomo che tanto aveva imparato ad odiare. Nemmeno i suoi fratelli dovevano osare rallentarlo in quel momento.Condusse il suo branco direttamente nel centro dell'insediamento umano, sprezzante per il pericolo e altrettanto avventato. Tutti gli altri erano diretti agli animali da allevamento e alle stalle. L'assalto coordinato funzionò. Il macello degli animali fu completato velocemente. Non si fermò nemmeno per udirne i risultati. La sua furia era cresciuta nelle ultime stagioni fino a divorarlo dentro. Da molto tempo lui non era più un semplice lupo, ma un demone della notte che si vestiva con la pelle dei lupi. Da semplice omega era assurto via via sempre più in alto nei ranghi del suo branco. Aveva imparato ad uccidere. Aveva imparato a godere della caccia e della morte. Solo quelsapore di sangue fra le zanne affilate, dava ormai senso alla vita. Non si era più fermato. La Caccia di quella notte avrebbe soddisfatto la sua sete di morte. Avrebbe ucciso personalmente tutti i membri del suo branco se solo non gli avessero ubbidito all'unisono. Per i deboli, la fredda notte eterna e i vermi. A lui interessava solo una violenta vendetta. Tutto il sangue che la Madre Terra potesse bere, sangue umano.Le tane posticce degli uomini erano tanto brutte quanto solide. Si spinse con tutti loro in mezzo a quelle più piccole.Alcuni cacciatori ancora indeboliti e rammolliti dal sonno, privi delle armi più pericolose, gli si avventarono contro erraticamente. Caddero tutti a terra sbranati nel loro primo assalto. Nemmeno un solo membro del branco mancò la gola di quelle creature pallide, prive di pelo nella maggior parte del corpo. Le loro armi caddero da dita ormai inerti. Gli umani morenti a terra.Il branco spinto dalla sua furia proseguì fino al centro dell'insediamento. I cacciatori che gli vennero incontro erano decisamente più preparati. Alcune trappole scattarono falcidiando due lupi del branco. Disprezzò la loro debolezza, mentre li vide cadere nelle stupide trappole acuminate. Li vide contorcersi e gemere proprio come dei cuccioli, indegni delle zanne e degli artigli che la Luna gli aveva donato. Saltarono l'ostacolo e la fossa dentata, atterrando proprio in mezzo ai cacciatori adulti. Questa volta il combattimento durò abbastanza a lungo da soddisfarlo. Senza fermarsi, tranciò i tendini dei primi due uomini, rendendoli incapaci di reagire e divorò il loro volto. Aveva imparato l'effetto che aveva su i molli umani. Colti dal terrore per lo sfregio mortale, la maggior parte di loro cadeva in uno stato di panico, anche quelli non feriti. Un altro lupo cadde sotto i colpi ripetuti di un piccolo gruppetto di cacciatori. Ma quello fu quanto. Il resto del branco si radunò e circondò i superstiti. Molti di loro sanguinavano copiosamente inebriandolo ancora di più. Al suo comando , come un solo artiglio colpirono. Solo qualche ferita superficiale e tutto quello che rimase di quei guerrieri fu solo cibo per i corvi della foresta.Ululò con quanto fiato aveva in gola. La tana del capo branco umano era vicina. Sentiva quell'odore odioso. Sentiva una traccia ben distinta. Accelerò il passo, gli altri lupi persero lo persero , incapaci di correre quanto lui. Sebbene spronati dalla ferocia della caccia e dalla paura di finire macellati dal loro nuovo alpha, tutto quello che rimase al resto del brancò fu inseguire il proprio capo. Si fermò a ringhiargli, un brevissimo istante e poi scomparve caricando ancora più in fretta fino al varco aperto nella struttura. Il sibilo letale nell'aria annunciò la fine dei compagni rimasti dietro. Punte acuminate. Caddero morti colti dal tormento dei veleni umani. Deboli ed inutili. Ma avevano servito allo scopo. Era giunto dove era predestinato a colpire.L'odore di uomo era ancora più vicino. Balzò dentro la tana, senza nemmeno rallentare.La trappola scattò ma lui fu veloce. L morsa, capace di tranciare le zampe di orso adulto, lo mancò di un singolo respiro. Digrignò i denti spostandosi celermente dentro la prima stanza. Un cacciatore anziano, pieno di cicatrici, lo aspettava a piè fermo. La lama che aveva in mano aveva l'odore di molti, troppi lupi abbattuti. Caricò lateralmente l'aggressore sbilanciandolo grazie alla sua velocità superiore. La lancia saettò verso il suo fianco con perizia. Fu in quel momento che si ritrovò vicino al vecchio uomo coperto di cicatrici. Ma non più su quattro zampe. Senza stupirsi più di tanto erano soltanto due le zampe su cui si reggeva. La gola del veterano aperta dai suoi artigli. Diventati ora tanto grossa da rivaleggiare con le armi umane. Dentro di lui, l'istinto compensava per tutte le sue domande inespresse e senza risposta. Una forma antropomorfa più efficiente per combattere in quegli spazi angusti, quali le tane umane. Forza e velocità accresciute, soltanto la sua furia era rimasta inalterata, tanta era la brama di sangue quella notte. Quella trasformazione era naturale, glielo urlava il suo sangue.Sfondò la barriera legnosa che divideva il locale esterno da quello interno. Lo schiantò impressionò anche lui. Le schegge esplosero dentro ferendo e distraendo gli umani presenti.Localizzò subito il suo nemico. Non aspettò. Non ululò. Non lo guardò. Le sue narici e il suo olfatto fu tutto quello che occorse per centrare la sua corsa perfettamente verso le gambe del capo branco degli umani. Al collo aveva ancora i suoi immondi trofei, le zanne dei suoi compagni uccisi. Riconobbe l'odore, la forma. L'odio lo riempì fino in fondo e lui lo riversò contro il suo nemico. Fu abbastanza. Le fragili gambe umane si spezzarono come grano nella mietitura. Accelerò ancora. Raggiunse la gola e gliela tranciò all'istante, ma senza affondare troppo gli artigli, non voleva che finisse tutto troppo presto. Il rumore e il gorgoglio di morte lo deliziò. Si girò a fronteggiare gli altri nella stanza. Non doveva lasciare nessuno in vita. Lo doveva al suo vecchio branco e ai lupi del suo branco morti per permettergli di entrare lì dentro. Si appiattì al suolo, talmente basso da fondersi con la linea del pavimento. Il suo stomaco brontolò, producendo un suono tanto ferale da imprigionare ogni altro uomo della tana innaturale nella paura delle sue fauci. Avanzò con letale circospezione, odiando ogni passo fatto in quel luogo disgustoso e finto.Un'ultima stanza lo divideva dalla sua vendetta. Percorse le ultime assi di legno morto, con una dolcezza e una disperazione infinite.I suoi istinti urlavano dentro di lui. Li dimenticò. Dimenticò quello che era. Dimenticò che si era appena trasformato in qualcosa di più.Entrò nella stanza debolmente illuminata nella vana speranza di fermare la fiera nera.Non fu un ululato quello lanciò appena entrato, ma un ruggito secco e brevissimo, ma tanto gutturale da fare vibrare le sue stesse zanne in orrore e gioia.Un sibilo acido tagliò l'aria a pochi passi da lui. Una lancia acuminata e avvelenata lo colpì dall'angolo cieco destro. Il suo nemico aveva assaggiato le sue carni per prima. Un uomo basso, per niente impressionante, quasi deludente per il suo sguardo debole, eppure tanto pericoloso. La lama penetrò le carni troppo agilmente. Non importava. Non era lì per pensare a se stesso e ne a quel lucore di tipo lunare sprigionato dall'arpione conficcato nel suo costato. Il suo scatto fu sensuale quanto irresistibile. Si girò fluidamente nonostante il dolore. O i suoi artigli saettarono verso il petto del piccolo uomo tarchiato e con qualche banale ciuffo di pelame sul volto. Scie cremisi si dipinsero sui vestiti del capo dei cacciatori. Nello stesso tempo il cacciatore accennò a rigirare l'amo di metallo lunare nelle sue viscere, ma senza nemmeno fermarsi a sanguinare, girò e spezzo uno dei sui miseri polsi. Gli occhi dell'umano danzarono nel nulla, all'indietro, mentre perse coscienza, colpendo il suolo con un suono sordo, quasi buffo.La sua furia si scatenò. Avrebbe voluto danzare con la Luna. Avrebbe voluto risorgerlo ancora una volta. Perdere l'intero branco ancora una volta, solo per poterlo finalmente uccidere ancora e ancora. Ululò. Devastò un muro fatto di pietra grazie alla potenza innata della sua nuova trasformazione. Non si curò della ferita nel suo petto che si allargava e delle viscere sempre più sconvolte dall'amo di quello strano metallo bruciante.Un pianto sommesso attirò i suoi istinti di caccia. Lo scatto con cui si voltò fu tale che distrusse uno degli inconcepibili strutture fatte di legno morto nella stanza, incomprensibili e ingombranti.Uno sguardo tanto acuminato quanto la lancia del capo dei cacciatori, fu tutto quello che il suo istinto percepì. Una giovane donna, vestita della pelliccia della sua gente. Non per vezzo, ma per l'irrigidirsi delle stagioni. Poco importava. Il cerchio si stava per compiere. Avrebbe distrutto ogni traccia del suo nemico e l'intera linea di sangue con lui sarebbe perita. Il suo volere di morte ne sarebbe stata l'unica cagione. Quella notte, la sua vita aveva quel solo scopo. Pregustò il nuovo bagno di sangue.La giovane femmina umana avanzò verso di lui. Avanzò come nessuno dei cacciatori aveva fatto fino a quel momento. Gli occhi infilzati nei suoi come tizzoni ardenti. Non aveva paura. Non aveva odio. Lo stupì, lo sconvolse. Dentro quella giovane mortale, c'era molto più del Lupo che in tutto il resto della sua razza. Avanzò senza curarsi del sangue che stava calpestandoSi fronteggiarono nel centro della piccola stanza. All'esterno rumori di lotta. I sopravvissuti dei cacciatori cercavano in vano di raggiungere il loro capo, credendolo ancora in vita. Conosceva la loro vigliaccheria. Aveva distrutto l'esile soglia di confine col mondo esterno senza problemi. Avrebbe trattenuto gli ultimi assassini fino al completamento della vendetta. Tornò alla bambina umana troppo cresciuta.Ruggì contro il suo volto. Le zanne la ferirono, tanto erano vicini. Ghermì le sue spalle ferendole. Nonostante il dolore acuto, la donna, bimba nelle vesti di adulta, si trattenne e non svenne. Anzi i suoi occhi si conficcarono ancora di più forte nei suoi. Quello sguardo lo ipnotizzava in maniera completamente nuova. La lasciò avvicinare. Passo dopo passo fino a poter sentire il suo alito contro il proprio. Morte contro vita, freddo gelido contro calore e disperazione.Sembrò una carezza, non lo era. Le piccole ma forti mani della esile donna afferrarono il legno dell'arpione. Lui le intimò, le ordinò, di cessare il suo folle tentativo. Avrebbe potuto divellere le sue membra con un solo gesto veloce, tanta era la differenza di forza. Ululò contro il suo orecchio sinistro, i capelli fulvi scapparono dal volto della bambina cresciuta come impazziti. Ma lei imperterrita continuò. Incredulo e stupefatto da se stesso, nemmeno lui fece nulla. L'arpione scintillante venne abilmente estratto dalle sue carni, con un solo gesto. Al contatto di quel metallo biancastro, la sua pelle e le sue ossa parevano sciogliersi come al disgelo primaverile, il dolore quasi insopportabile.L'aggredì. Gli artigli distrussero la pelliccia immonda che copriva l'esile femmine umana. Morsero la sua carne scoprirono il suo volto, le sue spalle e il suo petto. La donna non si ritrasse nemmeno di un passò ma lo fissò ancora. Lo sguardo era indecifrabile. Quel gesto stesso, incomprensibile. Ma comprese quando i suoi occhi rivelarono le ferite sul petto e sull'addome. La giovane femmina era stata ferita in profondità. Erano stati i suoi artigli e le sue zanne, lo capiva dal modo feroce ed efficiente in cui le cicatrici si intrecciavano su di lei. Quella femmina non era stata più in grado di portare a termine una gravidanza. La sua vittoria era probabilmente stata già ottenuta da tempo, a sua insaputa. La stirpe del suo nemico, il primo macellatore dell'insediamento umano, non sarebbe proseguita estinguendosi con lui e la sua compagna menomata. Parte di quello che aveva pagato e sacrificato quella notte era stato, in ultima istanza, inutile. Guardò la donna. Desiderò odiarla. Desiderò poterla divorare. Non ci riuscì.Ululò, un lamento più che un urlo di guerra. La donna si avvicinò ancora. Fissò il suo ventre, la sua forma vagamente antropomorfa. Non si stupì, non si disgustò ma con gli occhi cercò nel suo pelame gli stessi segni. Il ventre del lupo nero era coperto di cicatrici profonde e deformate, memori della strage patita molte lune prima dal suo vecchio branco, ordito dal capo dei cacciatori. Una notte di urla e omicidio, non diversa da questa. Nelle loro tane, assopiti dalla carne di erbivori, colti impreparati e uccisi senza un degno combattimento.Fu come se le ferite si riaprissero proprio in quel momento. Sanguinò, morì insieme ai suoi fratelli. La donna toccò la cicatrice più profonda. Un braccio tanto possente quanto l'intero torso della giovane bimba umana, si appoggiò sul suo. I loro sguardi si sfiorarono. Fu diverso. Entrambi condividevano una perdita incolmabile. Entrambi condividevano una furia estinta, che non li definiva più, che non gli avrebbe mai ridato gli amati, i perduti e la vita smarrita alle loro spalle. Senza che nessuno dei due sapesse darsi una ragione gli occhi di entrambi si inumidirono. Non era mai successo a lui. Cercò di distolgere lo sguardo. Lei afferrò il suo muso gigantesco e lo tenne in qualche modo fisso verso il proprio volto gentile. Piansero insieme, qualche lacrima rubata.Gli occhi della donna mutarono repentinamente. Un balzo di gioia, un respiro interrotto. Alla fine un vaticinio di morte e pericolo.Lui non comprese, e anzi ritirò gli artigli e le sfiorò il volto rigato dalle lacrime, nell'unico gesto di amore ed amicizia che avesse mai fatto ad un umano nell'intera sua esistenza. Sentì uno schianto dietro la sua schiena. Qualcosa si fece strada nelle sue viscere. Perforò la cassa toracica senza trovare realmente ostacoli degni. L'arpione bianco fuoriusciva dal suo costato, centrale. Le forze scomparivano mentre la sua vista diventava sempre più incerta. Si voltò pagando a fiotti copiosi di sangue ogni passo fatto.Il cacciatore, il suo nemico non era morto. Nella subdola astuzia, tipica di quel popolo vigliacco, aveva giaciuto apparentemente inconscio tutto quel tempo, per recuperare le forze necessarie a quell'ultimo assalto. La vita del lupo stava scivolando via. Avrebbe potuto portarselo con se nel Lungo Viaggio, pensò il predatore. Barcollò a fatica, facendo ogni possibile sforzo per non sembrare patetico come il suo avversario poco prima. Ci riuscì perdendo quasi le poche forze rimaste . La donna esterrefatta e angosciata lo seguì passo passo, anticipando il suo arrivo.Chiuse gli occhi. Le energie non erano sufficienti per un colpo preciso. Avrebbe donato quell'ultimo soffio vitale attaccato al suo corpo, solo per uccidere l'avversario. Ma furono le piccole gentili mani della donna bambina ad arrivare a lui. Riaprì gli occhi velati. Lei stava con le guance appoggiate a lui. Entrambe le mani esili ed affusolate poggiate sul suo muso e le sue zanne intrise di sangue. Stava emettendo un suono melodioso e alieno. Cantava mestamente, in maniera così struggente da fermare il suo istinto da guerra. Il cacciatore anziano, forse il suo compagno comprendeva ora, giaceva mortalmente ferito per terra alle spalle della femmina. Lei lo stava proteggendo. Ebbe l'impulso di alzarsi. Ma anche quell'impulso si spense. Morì dentro guardandola negli occhi. Aveva già preteso e ottenuto il suo tributo a quella covata di umani. Se ne rendeva conto. Il Lupo lo abbandonò e così la forma antropomorfa.Si ritrovò nuovamente sulle quattro zampe e fra le braccia della donna. Non gli restava molto. Appoggiò delicatamente il muso al petto ferito della piccola umana. Il sangue si mischiò. I loro respiri si fusero. Le loro lacrime divennero un unico rivolo. Chiusero gli occhi. Pregarono, cantarono, lei nella sua lingua inspiegabile, lui con la voce della foresta compresa soltanto dalla luna.Aprì un'ultima volta gli occhi. Il capo dei cacciatori sarebbe sopravvissuto, glielo diceva l'istinto.Osservò gli occhi colmi di tristezza e perdita nella ragazza. Capì che quello sguardo non riguardava solo la perdita della possibilità di procreare. No, quegli occhi gentili sanguinavano acqua, solo per lui. Si rilassò un poco. Respirò a fatica, con i polmoni colmi di sangue. Dolcemente si lasciò morire fra le braccia del suo odiato nemico, felice e completo. Il Cerchio di Morte era alla fine chiuso.

Alessandro Sidoti

Solo davanti all’abisso

Le catene erano praticamente senza peso. Dorate e decorate fino allo spasimo dei sensi, elaborate fino al virtuosismo. L'intarsio appositamente concepito raccontava ogni evento dal Gran Dibattito fino alla Sconfitta prevista. La luce emanata turbava i suoi sensi abituati alla fuggente ombra del suo Palazzo.
Le ceneri di Genhinnom,la sua adorata capitale, davanti ai suoi occhi. Ogni uomo e donna risvegliato nella conoscenza universale, trucidato. Lo stesso Palazzo distrutto pietra dopo pietra, con meticolosa precisione e onta più gravosa, scomposto negli elementi base e annichilito anche nel ricordo di tutti. Lui soltanto sarebbe stato il depositario del ricordo dell'esistenza del Palazzo d'Ombra, la sua reggia dove aveva sognato con tutto se stesso di cambiare le cose, di dare all'Uomo ed all'Universo intero un aspetto più libero. Cenere e morte era tutto quello che ne rimaneva.
Michele, in tutta la sua possanza, stava in piedi davanti a lui. La Spada Infuocata impallidiva, in presenza della Stella del Mattino. Anche nella sconfitta certe cose non cambiavano. Ma non fu quello a notare il Principe degli Sconfitti, solo e circondato da mille schiere di Malhim, sotto lo sguardo e lo scherno dell'Intera Schiera Lealista. Ma niente toccava Lucifero. Il suo sguardo verso l'Abisso aperto sotto di lui e colmato con i suoi amati fratelli e sorelle Caduti.
Alzò lo sguardo verso il suo vincitore. Fu quella espressione a ferirlo nel profondo del suo cuore. Gli occhi del Generale nemico, velati di lacrime.
Blanda ed annoiata tristezza. L'Arcangelo Michele, vecchio luogotenente nei tempi antichi, provava per lui compassione.
"Michele, adorato Michele, non guardarmi in quel modo... Non guardarmi così... te ne prego dolce fratello mio" pronunciò le parole usando l'alternarsi delle stagioni. Un autunno imperituro. Giorni di pioggia e nebbia. Il tutto contenuto negli occhi acquei della Stella del Mattino in catene. I suoi poteri erano soltanto un pallido ricordo di quelli del loro primo scontro. Le sue parole scossero Michele, ma fu il Primo fra i Caduti a nascondere la sua debolezza agli occhi dell'Esercito Lealista. L'affetto per lui, era ancora tanto, troppo forte. Umiliarlo ancora una volta avrebbe reso soltanto più greve il suo senso di colpa. Guardo la Bocca dell'Abisso. Pianse dentro. Pianse per i suoi fratelli, per le sue sorelle... e per...
"Sei soltanto un Caduto come gli altri, niente di più. Io non capisco perché ti diamo tanta importanza. Dovresti essere stato semplicemente isolato dagli altri, nell'Abisso. Invece..." tronfio ed annoiato, l'Arcangelo fece molte pause, calme e decorate da sorrisi insipidi. La sinfonia delle stagioni cambiò in primavera. Una primavera senza temporali o acquazzoni, liscia ed inutile come la stupenda armatura immacolata e perfetta dell'Arcangelo. Nemmeno un colpo aveva raggiunto il Generale Leale, ben difeso da un nugolo di Angeli Assassini Malhim appositamente scelti tra i più terribili.
"Ancora una volta, Illuminato Arcangelo Michele, sbagli. Tu servi il Suo Volere Incarnato. Devi gioire per ogni azione, per ogni incarico che ti viene affidato da Lui. Ma soprattutto tu non ti sei mai realmente fermato a riflettere su quanto sia Saggio e Onniveggente. Noi possiamo soltanto sperare di avvicinarci a Lui. Io ci ho provato e sì ho fallito. Ma tu, amato fratello, non lo hai mai fatto. Non esiste una creatura qui del giardino terrestre che non ti sia superiore... e te lo dico con il dispiacere di un primogenito che adora i suoi fratellini più piccoli. Per l'amore che mi lega a te, te ne prego, amato, non guardarmi in quel modo. Abbi dignità. Sii altero e fiero. Sii quello che vuoi. Ma non bagnarmi con le molli lacrime della tua compassione. Lui non ha mai provato compassione per noi, tanto meno per me...Ti prego di fare altrettanto. Sai bene che non sono le tue lacrime che desidero." l'Autunno si fece inverno. Bufere di neve sconvolsero il manto del Pianeta provato dalla battaglia campale. Raggiunse con un refolo di vento le guance dell'Arcangelo. Lo baciò con labbra eteree. Mise tutto se stesso in quell'ultimo gesto di amore per lui, tutta la passione che gli era ancora rimasta dentro.
"Taci Lucifero. Non ti è concesso nemmeno nominarlo. Hai scelto di abbandonarLo, e di abbandonare la Sua Grazia. Tu sei nulla. Sei una ombra perduta, niente di più La Luce non colpirà più i recessi della tua anima svuotata e dannata. Sei un ramingo..." l'espressione triste dipinta sul volto bellissimo dell'Angelo non mutò, ma le sue labbra mal celarono un sorriso di superiorità sprezzante.
La Stella del Mattino chinò il capo. Michele era davvero perduto. Lo aveva sempre saputo. Ma riscoprirlo ancora una volta lo tormentò ancora di più. Sentì il vuoto dell'Abisso richiamarlo. E per quanto l'assenza completa di vita ed energia, la stasi assoluta lo atterrisse, si sentiva irresistibilmente attratto verso quel Pozzo di Nulla. Tutte le anime dei suoi fratelli e sorelle che avevano fino all'ultimo creduto in lui, erano là, seppellite nel Vuoto Sempiterno. Incapaci di urlare o agire. Immobili e soli. La peggiore di tutte le prigioni, mai concepite.
"Ho una proposta per Voi, Vittoriose Schiere Celesti..." Lucifero sentì la propria anima morire quando quelle parole uscirono dalla sua bocca. In un singolo istante condivise tutto il Tormento che i Caduti stavano patendo nell'Abisso, tutto nello stesso istante. Desiderò morire, perché in quel momento lui moriva già dentro. Pregò che nessuno potesse sentire quelle parole. Ma la sua scelta ancora una volta era davanti a lui. Non desiderava tornare indietro.
L'espressione di Michele mutò, diventando imperscrutabile. Con un gesto annoiato gli fece cenno di continuare, concedendo mal simulata pietà al nemico vinto. "Continua miserevole Caduto. Ascoltiamo.. la tua.... Supplica... nella nostra infinita Clemenza.".
Lucifero tremò. Desiderò forgiare le sue esperienze, dal Grande Dibattito, alla Caduta, i ricordi e le immagini allucinanti delle Ere delle Atrocità, il suo amore per l'Uomo, quello per i suoi fratelli e sorelle in un unica Lama forgiata con l'Anima e la sua Esistenza. Sognò con essa idi trafiggere implacabilmente l'amato fratello che l'aveva ripudiato fino dall'Alba dei Tempi. Tutto avrebbe cancellato per avere la possibilità di dare a Michele quello che meritava, tutto tranne un solo singolo luminoso sentimento, tanto profondo e doloroso, e di cui non era in grado di separarsi fino al suo ultimo istante. Sentì che le energie erano sufficienti. Non avrebbe vinto, ma tutti gli Elohim, i Malhim avrebbero capito lo spirito di cui fosse ancora capace il Primo fra Tutti. Il pensiero balenò nei suoi occhi. Michele estasiato da quello sguardo di sfida, schierò all'istante una barriera impenetrabile di Malhim, che si frapposero fra i due Angeli Superiori. Lucifero chiuse gli occhi, e per la prima volta davanti alle Schiere Celesti pianse, senza smettere di parlare.
"Io sono il fautore e unico vero responsabile della Caduta. Sono il detrattore primo del Gran Dibattito. Sono l'unico che ha motivato ed alimentato la Rivolta. Sono l'unico e solo che ha rovinato... l'Uomo... Sono il solo che ha fatto precipitare l'Eden... Sono l'unica causa della prima vera Morte tra gli Elohim e gli Uomini. Sono soltanto io che ho distrutto il paradiso terrestre e contaminato la Terra in fiore con questa orrenda e sanguinosa Guerra. Io e soltanto io ho scatenato i miei arciduchi, i capi delle Legioni, contro di voi, lasciando che distruggessero ogni cosa al loro passaggio. Solo a causa del mio comando è successo tutto questo. Io solo, sono stato cagione ultima della punizione.... giusta e.... meritata.... su di noi. Davanti a Voi tutti, davanti a voi Possenti Malhim privi di volto e Celeste nome, davanti al Supremo ed Invincibile Volere, vi porgo la mia ultima e unica supplica. Vi imploro, per la vostra infinita saggezza e clemenza, grazia per i miei fratelli e sorelle intrappolati dentro l'Abisso. Per tutti loro. Che venga data loro la possibilità di essere sollevati dalla punizione eterna dentro il Vuoto. Non chiedo niente di impossibile, non chiedo salvezza per loro... anche l'Annichilimento piuttosto, ma sottraeteli all'Abisso, vi scongiuro..." implorò con lacrime colme di dolore la Stella del Mattino. Il dolore che sconvolgeva il suo animo era la profonda convinzione in quello che aveva appena testimoniato davanti alla Schiera Celeste.
Michele scoppiò in una fragorosa risata, talmente tanto oscura da far girare la guardia di Malhim cinta attorno a lui, stupiti a loro volta. L'estate sbocciò. I fiori si bruciarono per il Sole e la furia degli elementi, sotto uno stupendo e terribile cielo azzurro, privo completamente di nuvole. "Lucifero, sai bene che quello che chiedi è impossibile. La nostra infinita clemenza l'abbiamo già mostrata, ascoltando la tua patetica supplica.." rispose l'Arcangelo mimando il tono del suo Ex Generale. Un sorriso malinconico puntualizzò il suo discorso, vestito dallo scherno più impalpabile.
"Non ho finito Michele... Davanti a tutti loro, abiurerò la mia Fede, il mio Credo, le mie Scelte, anche l'Uomo e il mio Amore per lui. Mi inchinerò davanti al Volere supremo. Senza condizioni. Sarò la Vostra e Sua pedina. Vi assicurò che molti Caduti odiandomi e sentendosi perduti, preferiranno alla fierezza del resistere nell'Abisso, l'Annichilimento o la Riconciliazione. Usatemi come meglio credete. E dopo uccidetemi, dannatemi pure dentro L'Abisso da solo. Ma vi imploro, per l'Amore che abbiamo sempre condiviso dentro di noi... Salvateli dalla dannazione eterna. Non fatelo per me, fatelo solamente per voi, per essere migliori di noi, che abbiamo sbagliato, che ci siamo ridotti in catene, sconfitti ed umiliati per le nostre scelte... vi prego... vi imploro, fratelli miei mai dimenticati..." alzò un'ultima volta lo sguardo verso il cielo, ma questa volta senza nemmeno una traccia di superbia o di orgoglio nei suoi occhi, solo pietà e un'unica implorante richiesta.
- Ascoltami Creatore, distruggi la mia immagine, fa di me il tuo strumento per annichilire la forza che ho infuso nei Caduti, ma salva i tuoi amati, fallo per quello che erano, per quello che hanno idealmente sperato di ottenere, fallo e disponi di me e anche delle mie scelte. Io non sarò mai più contro di Te od il Tuo Volere, mai più. Mi rimetto al tuo Giudizio.. Io... ho....sbagliato..... -
Il cielo sereno venne sconvolto da un singolo tuono. La luce vibrò ancora più radiosa di prima. I Malhim si prostrarono. Un singolo raggio di luce colpì la fronte di Michele, accendendo in lui un sorriso tanto bello quanto terribile. Il Volere era manifesto.
"Ecco il Volere Assoluto. Gioisci Caduto... Stella del Mattino... Tu non seguirai la tua schiera di rinnegati e sconfitti. L'Abisso non sarà la tua casa. Loro avranno modo di comprendere ugualmente quanto sia grande e irrimediabile il loro errore... rimanendo imprigionati fino alla fine dei tempi nella loro prigione! Per te, il Destino non riserva una così facile via di uscita. La tua punizione è appena cominciata." Michele rinfoderò la Spada Infuocata lentamente assaggiando lo sguardo impotente e disperato di Lucifero. Girò la schiena e le Ali spiccando il volo con la sua Guardia personale. Tutta l'armata della Schiera Celeste scomparve in meno di un battito d'ali.
Scese la notte. Scese il buio.
L'Abisso si richiuse.
Lucifero urlò, solo sulle macerie della sua Capitale e sulle macerie dei suoi fratelli e sorelle. Urlò fino ad impazzire.
Solo.

Alessandro Sidoti

Il messaggio

Gabriele osservò il fratello. Maestoso e completamente smarrito in se stesso.No, il suo cuore non poteva mentire. Ne era certo.<> un refolo di vento portò le sue parole, che raggiunsero con lentezza infinita l'orecchio tronfio del Generale Celeste.L'Arcangelo, non accennò a fermarsi. I Cieli Superiori erano ormai vicini e dopo aver disposto l'armata di Malhim, tutto quello che rimaneva era far rapporto agli altri Sette.<> l'umidità attorno alle orecchie del Arcangelo si solidificò in acqua, e l'acqua a sua volta in suoni.L'Arcangelo trafisse le più belle nuvole che I Nove Anelli della Letizia avessero mai avuto. La sua Spada di Fiamma in bella mostra e le nuvole cessarono di esistere. Il pensiero lo divertì. Ma sepolto dentro di lui, un pensiero molesto ed inarrivabile. Lucifero, il Perduto, lo Sconfitto, non aveva voluto, per l'ennesima volta, confrontarsi con lui. La spada era stata inutile, ancora. Stizzito ed amareggiato, la ripose nelle pieghe dell'esistenza, fino a farla tornare il raggio di Luce e Volere Divino che una volta erano stati.<> le fattezze esteriori di Gabriele mutarono. La foggia ora impercettibilmente femminile, aleggiava attorno al fratello. Le parole intessuto di fili di cuore puro. Suoni rubati agli strumenti dei migliori musici umani.Michele, si girò. D'improvviso le Nuvole della Letizia, tornarono, richiamate dal nulla in cui la spada di fiamma li aveva gettati. La bellezza trasudante da quelle molecole d'acqua instabile avrebbe potuto commuovere fino alla morte qualsiasi poeta mortale e non. Un suono impalpabile si diffuse attorno a loro. Dal etere stesso un vento carezzevole e profumato cantò della prima pioggia estiva, lambendo le gote immacolate dei due Arcangeli. Il sorriso di Michele, amabile ed irresistibile scintillò verso le forme aggraziate e sensuali di Gabriele. Gabriele fu sul punto di Cadere a sua volta. Il Fratello non aveva sorriso in quel modo dal momento del Grande Dibattito durante cui il suo generale, La Stella del Mattino, aveva tradito per sempre la Schiera Lealista. Era talmente bello da riuscire quasi a competere con il Portatore di Luce stesso nel suo massimo fulgore. Gabriele pianse, sommessamente, col capo reclinato su un fianco. Timido, quasi impacciato per quanto la sua forma leggiadra permettesse, si avvicinò al Maestoso Duce Celeste. La punta delle sue dita lambì le guance del fratello, tanto lentamente che intere galassie morirono durante l'intero gesto.Disarmata e incerta, ma sconvolta da passioni così pericolosamente eretiche Gabriele, la Messaggera Celeste stillò queste parole sussurrate:<>. La forma angelica mal conteneva quelle emozioni tanto impure e tanto forti. Desiderò che le leggi ferree del Cielo, fossero più elastiche. Morì dentro, un poco, ma non poteva smettere di fissare Michele, rinato nelle sue emozioni originali dopo eoni di Purgatorio.<> lo blandì con calore e trasporto il Primo tra i Sette, <> Michele chiuse gli occhi punteggiando con un leggero rossore le ultime parole.Gabriele trasalì. Parte delle nuvole attorno a loro si mutarono in cascate, cascate altissime. I giochi di luce si realizzarono in un arcobaleno virtuoso ed impossibile, tanto era la beatitudine nei Cieli Superiori. Con una dedizione ed amore infiniti Gabriele, La Messaggera, avvolse con l'arcobaleno l'amato fratello. Lo vestì come un vero Generale. Lo vestì come il Capo Supremo dei Troni e delle Potenze. Lo vestì come il suo unico e vero amato. Fu ancora una volta goffo o forse no. Avvicinandosi i loro menti si sfiorarono. Pochi micron incapaci di veicolare più di qualche innocua molecola di materia angelica. Gabriele si appropriò del concetto stesso di Fuoco Divino. Un tuono sconvolse il concerto di cascate, turbandone la quiete per un singolo istante. Aveva forse osato troppo? Forse ne era valsa la pena, tanto era il suo stupore per il cambiamento del Signore dei Sette, l'adorato Michele.L'arcangelo riaprì gli occhi, mestamente ma con una decisione che accese ulteriormente Gabriele.<> sillabò teneramente Michele, senza osare fissare negli occhi i riccioli biondi di Gabriele.<<... Ne è valsa la pena. Aspetto dalla Caduta questo momento... non mi pento...>> le parole del minore tra i Sette vennero dolcemente interrotte.<<...ed invece pentiti. Perché questa ardita follia spettava a me. Mentre tu eri preoccupata per la mia Luce, io invece non ho mai ricordato te, Specchio D'Acqua. Ma ti ho notata, dentro le nostre armature formidabili intessute dal Volere Supremo. Ti ho percepita, triste e nascosta nelle pieghe recondite delle tue profondità interiori. Ho sofferto per te. Ed ho sofferto per me. Ma sai bene che il mio Dovere, il mio Comando, non concedevano di esserti vicina nella maniera degna. Questo, devi sapere.>> Michele le sorrise con forza e gentilezza alla pari. La musica delle cascate divenne più forte e al contempo malinconica e struggente.Le ali di Gabriele si ripiegarono, timidamente. Un lungo gesto, che produsse increspature nella luce stessa che circondava il gioco di luci e dell'arcobaleno. Si vestì a sua volta con i fotoni e le molecole d'acqua. L'armonia ineffabile divenne complementare ai vestiti eterei di Michele. Una sinfonia di luce, al pari del migliore demiurgo del Paradiso Terrestre. Entrambi gli Angeli rimasero estatici nella contemplazione della bellezza del Creato, e dell'arte di Gabriele. Questa volta piansero in due. Le loro ali ripiegate si sfiorarono. Quasi. Senza mai toccarsi. E proprio come per due comuni Caduti, il Tempo si fermò mentre un nugolo di tempeste e tuoni si avvicinavano a loro, per avvisarli della disapprovazione dei Cieli Superiori.L'arcangelo Gabriele più non era. Solo il suo amore smisurato per Michele lo definiva, lo esaltava, lo completava, irrimediabilmente. Incapace di trattenersi oltre, avanzò ancora una volta verso l'amato Arcangelo. Chiuse gli occhi. Dischiuse le labbra in una preghiera silenziosa. Si avvicinò, fino a quando le loro Ali non si toccarono. Agognando il contatto. Desiderando l'Impuro.Venne la Notte. Per la prima volta dalla Caduta, le Nuvole della Letizia si tinsero di Nero, preso in prestito all'Abisso. I tuoni sconvolsero senza pietà alcuna le cascate virtuose della Messaggera. In brevi spazzate più non furono. A Gabriele non rimanevano che le lacrime asciutte.Michele mutò. Così come se ne era andato repentinamente tornò l'implacabile Generale Celeste, massacratore delle genti ribelli. Le sei ali maestose sorsero dalle sue spalle. Ancora più terribili di quelle con cui aveva fronteggiato e condannato la Stella Del Mattino. Gli occhi in fiamme, colmi di disprezzo e retribuzione. Il dito puntato come un'arma verso il fratellino minore. Venne il tuono e con esso le parole dell'Arcangelo Generale: <> urlò Michele sferzando il fratello minore.<> rotto nelle lacrime acide rispose il Messaggero in balia delle correnti ascensionali più terribili che i Cieli Superiori avessero mai visto.<> la sentenza dell'Arcangelo Michele colpì il fratello minore, ma fu il tono di quelle parole a ferirlo a morte e le conseguenze immediate.Gabriele, chinò le ali. Si prostrò. Asciugò le lacrime. Si inchinò fino ad annullare la sua intera forma. E sulle sue labbra si compose un cenno muto e sterile di assenso. Svuotato e privato di ogni sentimento. Michele torreggiava su di lui e suoi infranti sentimenti. Non vi era alcuno scopo resistere. Chinò il capo ancora una volta, senza rialzarlo più.<> disse quasi divertito il Duce Celeste dopo essere stato nuovamente illuminato dal Volere Divino,<<>>. Michele si sedette sul Trono insieme agli altri angeli del Concilio dei Sette. Il loro sguardo severo e crudele scese insieme al Messaggero fino al ciglio dell'Abisso.Gabriele volò, senza mutare l'espressione. Senza voltarsi indietro. Senza distogliere nemmeno una volta lo sguardo dalla bocca dell'Abisso sotto di lui. Incapace di manifestare emozioni per volere del suo amato fratello, ma pienamente consapevole delle atrocità a cui l'Abisso condannava i Caduti... e lui.

Alessandro Sidoti