sabato 13 ottobre 2007

Senza volto

L'orizzonte non era mai stato tanto piatto, sterile e vacuo come quella mattina.
Il pulviscolo e la cenere attorno a lui e soprattutto dentro di lui, lo soffocavano. Il peso della colpa unito alla solitudine rendeva il semplice atto di rialzarsi un supplizio. Ma la Stella del Mattino ciononostante si rialzò. Solo fiamme e devastazioni attorno a lui, suoi figli e figlie.
Non vi era luce, aloni di potere, fierezza, solo una infinita tristezza e, sebbene fosse tanto difficile ammetterlo, un senso di sconfitta totale e definitiva. La condanna doveva arrivare eppure lui si sentiva giudicato da tanto,troppo tempo, senza possibilità di appello alcuno.
Scrutò il cielo mestamente.
In una spirale cadente, una piccola stella ferita cadde dal firmamento. La luce intermittente era ancora fortissima. Troppo forte per un Elohim, e tantomeno per un Caduto. Qualcuno della Schiera Celeste era stato lasciato indietro. Estese la propria percezione, seppure ferito e incapace di osservare con precisione. Gli ci volle soltanto un istante. Capì subito.Appena ebbe piena consapevolezza di cosa stava osservando fu afferrato da un senso di angoscia ed inspiegabilmente da una tenerezza infinita.
Le Catene della Condanna erano rientrate in lui, dentro la fibra stesse della carne angelica. La sua pelle una volta candida ed immacolata erano stata marchiata per sempre. I suoi polsi, le sue mani e le sue Ali portavano lo sfregio e il disprezzo del Volere Ultraterreno. La vendetta di Michele prendeva in forma in quel superbo tatuaggio vivente che era ora mai diventato. Il dolore fisico era certo poca cosa per chi aveva patito nel vedere la propria gente, amati fratelli e amate sorelle, scomparire inghiottiti dal Nulla, ma le sue braccia e le sue Ali erano letteralmente in fiamme. Le catene non erano scomparse ma anzi scavavano in lui un vortice di puro dolore, spirituale e fisico, come memento della sua colpa. Affinché non dimenticasse mai. Quelle carni tatuate gli avrebbero fatto compagnia per sempre, ne era certo. Quando spiccò il volo per raggiungere la meteora appena caduta, sentì uno spasimo. La punizione per usare le abilità Angeliche. Non vi era alcuna sottile ironia in quel tormento, riconobbe la rozza mano di Michele. Ma quel dolore lo definì, gli diede forza. Volare e librarsi nell'aria gli sarebbe davvero costato caro ogni volta, ma proprio per questo lui avrebbe continuato a volare nell'Etere e nella bellezza ferita del Creato. Quasi che staccarsi dal suolo, fosse a tutti gli effetti la sua risposta al Grande Disegno ed al suo Sommo Artista.
"Non sono ancora vuoto. Ho ancora amore e desiderio dentro di me... Ho ancora fede !" annunciò al Cielo con fierezza e umile sdegno. Volò, rapido e sicuro, senza lasciare che né le orribili correnti residue della battaglia né il male causatogli dalle catene deviassero il suo percorso. Un volo delicato ed elegante come solo la Prima Stella del Mattino avrebbe potuto danzare.
Giunse ad una pianura ancora avvolta dalle fiamme. Un solco nella nera terra ampio come il letto di un fiume. Volute di fiumo cinereo ad oscurare il cammino. Quelle rovine era state una delle città minori, un bastione appena al di fuori della sua Gennhinnom.
Nonostante le fiamme oscurassero il cielo, proprio nel punto dell'impatto, ed il calore distorcesse la vista, riuscì ad identificare subito la forte luce intermittente.
Gli occhi si riempirono di lacrime. Comprese subito la causa di quella intermittenza.
La creatura era ferita. La Luce la avvolgeva. Era senza volto.Menomata al di là della capacità di qualunque Elohim di guarirsi. Ma non erano certo state le ferite mortali della battaglia finale o l'impatto, era stato il Volere Superno a ridurlo così. Lucifero pianse al colmo della sua rabbia.
Si avvicinò lentamente, con timido rispetto. Le ferite esterne stavano già rimarginandosi, anche quelle create dalle lame Siyr dei Caduti. La resistenza di quel corpo,seppure di origine angelica, era inconcepibile, ma a quale prezzo era stata ottenuta.
Nelle battaglie precedenti, durante il fallimento del Grande Esperimento e la Distruzione dei Nephilim, aveva abbattuto dei Malhim coadiuvato dalle sue schiere e dalla possente guardia reale di Nazathor. Non li aveva mai realmente guardati da vicino. E in cuore suo aveva sempre sperato fossero semplici ordigni di fattezze vagamente angeliche non diversi dalle lame Siyr, massacratrici di Elohim. Ma l'inganno era durato anche troppo a lungo. Aveva chiuso gli occhi per troppo tempo e l'alone di luce impenetrabile dei Malhim era stata solo una misera scusa. Per troppo tempo aveva scordato il suo amore, e la furia della battaglia l'aveva privato della vista e del coraggio di guardare oltre quella maschera luminosa.
Fissò quello che avrebbe potuto essere un angelo bellissimo. Lo spogliò della luce, intermittente e malata, uno strato dopo l'altro. Fu doloroso e altrettanto necessario. A prima vista ogni Malhim sembrava assolutamente identico, corazzato, con armi, spine e catene e mai un volto da mostrare per nessuno amico o nemico. Per Volere Eterno, erano semplicemente una forma di incarnata Distruzione e niente più. Il loro volto era oscurato da una luce tanto intensa che qualsiasi Elohim era incapace di fissarla troppo a lungo. Questo manto luminoso, anonimo e violento, assisteva il guerriero Malhim in battaglia, rubandogli al contempo coscienza ed individualità. Costruito soltanto per sconfiggere i Caduti. Questa forse la bugia più grande. I Malhim non erano costruiti. No, non erano nemmeno armi superiori, come le Siyr o le corazze infernali. Non erano finimenti delle Fucine della Legione di Ferro. Erano fratelli, esseri viventi e senzienti, torturati dalla nascita. Sorelle incatenate per un singolo solo scopo, sconfiggere la Ribellione, ed umiliare Lucifero ricordandogli quanto male diretto od indiretto aveva recato con le sue scelte. Una intera generazione gettata nell'Abisso prima ancora che l'Abisso stesso fosse creato. Soltanto per lui, si ripeté. i Malhim nascevano torturati e menomati soltanto per punire un solo Angelo Ribelle.
Il dolore crebbe in lui. La creatura devastata lo aveva appena notato. Percepì il suo desiderio di combattere. Il desiderio divenne furia. La furia si tramutò in lucida follia. Il Malhim venne sconvolto da convulsioni fortissime. Lame apocalittiche apparvero nelle sue mani ferite. Saettando vorticosamente attorno a lui senza controllo. Poi improvvisamente, come se qualcosa si fosse spento in lui, si fermò. Una marionetta rotta, nelle mani di un burattinaio che più non si curava di lei. Il Malhim smise di agitarsi, ma solo per qualche momento. Poi con rapita e malata precisione ricominciò la danza della follia, colpendo il nulla senza più fermarsi.
Il Primo tra i caduti urlò silenziosamente, maledicendo ancora una volta la crudeltà del Gran Disegno. Dapprima afferrò le mani possenti della creatura morente. Si ferì nel vano tentativo di arrestare il suo impeto rabbioso, ancora e ancora. A nulla valse la forza fisica. Il Malhim era superiore fisicamente anche in quelle condizioni. Riprovò una seconda volta, aggiunse preghiere e suppliche insieme alla forza. Lo implorò di fermarsi, di ascoltarlo. Lo implorò di lasciarsi curare. A nulla valsero le preghiere.
Chiuse gli occhi. Rilassò il proprio corpo, smettendo di pensare alle ferite insopportabili delle Lame Apocalittiche. Lasciò scorrere via tutta la furia accumulata durante la battaglia finale sopra Gennhinnom, e dopo la sconfitta e la punizione. Non si calmò completamente, tanto era il tormento dentro di lui, ma riuscì a vedere la propria anima alla fine del tunnel della disperazione. Riaprì gli occhi mentre le prime stelle del mattino, le piccole sorelline del creato, facevano capolino su un'alba tanto bella quanto terribile.
"Fratello mio..." pronunciò quelle parole con tutto l'amore di cui la sua voce fosse capace. Avvicinò non le braccia, né il suo corpo, ma solo il volto. Inerme. Rilassato. Vulnerabile quanto un bimbo verso la propria madre.
Il Malhim reagì fulmineamente, mal interpretandolo come gesto di sfida. Il suo spazio era stato violato. Sebbene mutilato nei sensi era ancora in grado di percepire l'aura della Stella del Mattino. La luce divenne ancora più fulgida e mostruosa, intermittente e orribile. Una Lama Apocalittica si conficcò nel collo di Lucifero. Il dolore non impressionò il Grande Caduto. Dentro di lui solo la consapevolezza che l'Amore e nulla altro era necessario per avvicinarsi vivo a lui.
"Non ci siamo dimenticati di te, amato Fratello..." continuò il Portatore di Luce, rivestendo le ultime parole di empatia. La seconda scarica di colpi lanciati dal Malhim fu impercettibilmente più lenta della prima. Le spalle del Primo Caduto vennero ferite gravemente in più punti e anche le Ali subirono un fato non diverso. L'autocontrollo fu difficile questa volta. La voglia di ritrarsi e di combattere crebbe in Lucifero. Ma ancora una volta si trattenne, intuendo dove l'atrocità del Disegno Celeste risiedeva. Il meccanismo stesso alla base del concetto di Malhim. Nato per odiare e ancora di più nato per farsi odiare. Un motore infinito, che si rinnovava per sempre, virtuoso e atroce. Capace di alimentare intere schiere di mostri mutilati in grado di suscitare tale odio, paura da autoalimentarsi fino alla fine dei Tempo stesso.
Baciò il Malhim. Dapprima non riuscì a discernere i tratti. La Luce Divina lo avvolgeva come una maschera. Ma l'impulso intermittente era sempre più debole a causa dei danni subiti. Qualcosa, malgrado tutto, stava facendo breccia nella mente del suppliziato. Lucifero era giunto più vicino ad un Malhim di qualsiasi altro Caduto. Ed era ancora vivo. Certo le sue ferite bruciavano come se fossero avvolte dalle fiamme, ma la sua personale scommessa era in un certo senso vinta. Gli bastò osservare quel volto sfregiato, imprigionato nella stessa armatura. Fu la visione stessa di quello che veramente era un Malhim a colpire la Stella del Mattino.
Non trattenne oltre l'odio dentro di sé. Per la prima volta, una rabbia mille volte superiore a quella dell'Arciduca Infernale Belial ed ai suoi fratelli lo sconvolse. Che cosa aveva permesso Michele. Che cosa mai aveva potuto accecare la Schiera Lealista fino a punto. Lasciare che il Volere Superiore storpiasse una creatura completa e splendida come quella, in un ordigno di vendetta. La guerra, la vittoria, la supremazia non valevano tanto.
Non vi fu spazio per le lacrime o per l'amore questa volta. L'odio riempì il cuore del Primo fra Tutti. Un odio intenso e viscerale. Il senso di impotenza si trasformò in bramosia di vendetta. E cadde ancora una volta. Cadde nei propri principi. Cadde nella propria Fede verso la pace, l'amore e l'Uomo.
Il Malhim reagì all'istante. Brandendo nuovamente le lame verso Lucifero colpì con la massima forza di cui era capace.
La reazione della Stella del Mattino, in preda alla furia primordiale, fu altrettanto feroce e brutale. Afferrò entrambe le braccia corazzate del abominio celeste e le spezzò senza nemmeno guardarlo. Con uno schianto secco entrambe le lame assassine finirono a terra.
Il Malhim non urlò. Il Malhim non pianse. Il Malhim non soffrì. Semplicemente smise di attaccare con le braccia. Il corpo stesso divenne un'arma. I pezzi di armatura graffettati alla stessa carne angelica divennero spunzoni, punte, uncini. Le stesse lame partivano da dentro il Malhim, ferendolo a sua volta, con l'unico scopo di permettergli quell'ultimo disperato attacco suicida. Nella battaglia sopra Gennhinnom era successo molte volte. Nessun Malhim lasciava il campo dell'esistenza senza portarsi via almeno un singolo Caduto con se. Nessun Malhim, mai, era stato catturato vivo. Mai. La creatura menomata ed in fin di vita si catapultò con quanta energia le era rimasta verso la Prima Stella , senza emettere nemmeno un suono, senza il canto dell'anima che ogni Elohim ininterrottamente intesseva per il proprio Creatore, come atto di estremo amore.
"Distruzione". Lesse per la prima volta il carattere in Enochian sulla fronte del guerriero suicida. Lesse e comprese finalmente la chiave. Il Tempo si fermò col fiato sospeso. Lucifero rallentò l'attacco, rallentò lo stesso fluire degli eventi.
Le lame Siyr della Stella del Mattino, scomparvero ritornando nel Vuoto da cui erano state evocate. Gli servivano le mani libere. Ma, ancora di più, il cuore libero. Fu molto più difficile questa volta. Le ferite urlavano vendetta. La sua rabbia urlava vendetta, non certo verso il Malhim ma verso tutti gli Elohim Lealisti, e verso il Gran Disegno. Lì perdonò, suo malgrado, a malincuore, li perdonò e perdonò anche se stesso per aver causato tutto questo. La rabbia e la vendetta scomparvero. Fu un singolo istante, ma bastò al Principe Esiliato. Toccò la fronte del Malhim e con un gesto paterno, sfiorò la runa enochian della Distruzione. Gentilmente la cancellò. I sigilli sulla bocca del Malhim questa volta non lo trattennero più. La museruola odiosa incastonata nella sua bocca cadde a terra. Il Malhim urlò oltre la maschera di metallo celeste, oltre i limiti che gli erano stati imposti. Urlò il proprio dolore, la propria impotenza, il proprio desiderio di vendetta. E alla fine quando tutto venne espluso devastando la valle circostante, esplosa per la sola furia di quelle parole, al Elohim riportato in vita, rimase un ultimo disperato lamento. Il bisogno di amore e di amare il Creatore. Ecco il motore stesso del Malhim. Era stato privato completamente della capacità di lodare, amare e cantare per il Creatore stesso. La pazzia alimentava la furia cieca, la deprivazione completa di quel amore e della possibilità di esprimerlo in qualsiasi modo era la cagione stessa di quell'arma immonda conosciuta ai Caduti e ai Lealisti come Malhim.
Lucifero non curante delle ferite di entrambi abbracciò l'ordigno che una volta era stato un possente Elohim. Lo abbracciò con rabbia, con amore, con ardore, con dolore. L'abbraccio fu brevissimo, quasi un singolo attimo, rubato al continuum.
Successe.
Il Malhim riprese a pensare da solo. Non più un'arma contro la schiera dei Caduti. Non più un guerriero lobotomizzato nella sua passione più pura. Ma di nuovo un essere senziente incapace forse di scegliere ma capace di consapevolezza e devozione. Vivo e completamente a pezzi. La bocca del angelo deforme spezzò i legami, il metallo di Ur delle fucine celesti, la sua voce il suo canto roco, perforò l'aria aspra e tersa della prima mattina. Arrivò fino al cielo e ancora più su sino ai Troni e alle Potenze, e ancora di più sino ai Sette, fino all'Arcangelo Michele. E ricadendo al suolo tentò in vano di raggiungere anche i meandri dell'Abisso. Lucifero percepì che la vita del angelo stava volgendo al termine. Il ritorno alla vita gli era costato la stessa. Ed era solo tormento quello che rimaneva in quegli ultimi istanti di esistenza.
Veloce più del suo stesso pensiero ma così lento per una anima tanto dolorante, il Primo Caduto afferrò le lame Apocalittiche dai moncherini a terra.
"Non ti abbiamo mai dimenticato... Idshael, mai nato della Prima Casa dell'Alba... e mai lo faremo, dolce fratello ritrovato e ancora una volta perduto" le parole uscirono dalla mente di Lucifero, tristi come le macerie di Gennhinnom.
Idshael, si volse un'ultima volta verso la Stella del Mattino, mentre le lame divoravano finalmente le sue carni evocate e potenziate oltre l'immaginabile. Sorrise, pianse e visse un lungo singolo istante di vita autonoma. Libero dalle catene. Capace di parlare e di pensare e di amare anche solo una volta il suo adorato Creatore. In un finale di luce, si dissolse nell'Etere, raggiungendo le Sfere Superiori. A nessun Malhim veniva concesso il ritorno nei Cieli Superni, Idshael era a tutti gli effetti il primo. Lucifero morì con lui. Ma non c'era alcun modo di salvarlo. Entrambi ne erano consci fin dal momento stesso in cui era stato liberato. Un Malhim libero cessava semplicemente di esistere fra mille tormenti. Distruggerlo era forse l'unico atto realmente misericordioso.
La Luce scaturita dalla morte del Malhim risplendette sulla dannazione della Stella del Mattino, sulle macerie e sulla terra devastata attorno a loro. Fu una bella luce, calda e sincera, triste ed orribile. Raccontava della dipartita di una arma e della salvazione di una anima incompleta. E per un Angelo dell'Alba perduto e condannato a vagare sulla terra fino alla fine dei tempi, un altro poteva innaturalmente fare ritorno a casa.
Lucifero sentì l'Abisso farsi un ciottolo di sabbia più vicino. Lo agognò ancora una volta. Bramò prendere il posto del suo popolo costretto in ceppi di puro Nulla. Il dolore era insopportabile, nonostante tutto. I suoi fratelli irrimediabilmente dannati. Ma la nuova battaglia, senza eserciti celesti, era appena cominciata. Una molto più lunga e dolorosa, ma soprattutto molto più solitaria e cupa. Ed era cominciata proprio dentro di lui.
Alzò lo sguardo in tempo per vedere una stella del firmamento, fulgida e splendida questa volta, scendere davanti a lui.
In tutta la sua impersonale bellezza il Messaggero, conosciuto una volta come Gabriele, carezzava l'aria avvolto dal fuoco e dalla luce. Il suo viso era completamente inumano e la espressione di una insolita indifferenza. Fece un accenno di inchino. I ceppi e le catene della caduta Gennhinnom tatuate fuoriuscirono dalle carni del Primo fra i Caduti, costringendolo nuovamente a terra, inerme ed impotente.
Il Messaggio era giunto con le ultime disposizioni per la sua Condanna. E ancora peggio, con esso, la vista del dolce Gabriele ridotto ad un semplice messaggero impersonale e meccanico. Michele aveva davvero sorpassato se stesso questa volta.
"Parla Messaggero, che una volta fosti l'Ineffabile Gabriele!" ringhiò verso il cielo Lucifero.

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