domenica 14 ottobre 2007

Nato di Dolore e Rabbia

I Malhim avvinghiati a lui parvero esitare. Fu abbastanza per eccitarlo. Li aggredì senza pesarci due volte, anzi senza pensare affatto. Fu pura distruzione. L'atto stesso divenuto spirito e parte integrante della realtà. Distruzione.
Non si fermò nemmeno a bilanciare la presa sulle lame Siyr binate. Nemmeno dopo che il primo gruppetto di opponenti fu annientato. Abbadon roteò vorticosamente verso il fitto dei nemici, fendendo aria con il suo odio primordiale. Proprio dove lo stavano aspettando, proprio dove il nemico era più forte. Urlava e rideva come un bambino impazzito.
Gli arti delle macchine da guerra celestiali, caduti a terra come grano durante la mietitura. Maledisse il proprio spirito per la bellezza di quella distruzione. Cadendo a terra i moncherini straziati ed i loro corpi componevano il glifo in Enochiano corrispondente al concetto di Odio. Non riusciva ad essere semplice impulso nemmeno in quel momento. Imprecò. Non riusciva a privarsi della ricerca della Bellezza per quanto furiosamente provasse. Colpì e uccise ancora e ancora fino a quando non vi furono più nemici o amici attorno a lui e niente altro da disegnare con i loro resti.
Ali completamente in fiamme sorsero dalle sue spalle come un vulcano pronto ad eruttare.Del torrione primario su cui aveva appena combattuto non restavano che le macerie, come nel resto della cittadella in rovina. Macerie malate, insozzate con i corpi e le anime consumate nell'odio. Tutto questo non acquietò la sua sete di vendetta e Morte. Dinnanzi a lui gli ultimi fuochi della battaglia, la caduta della sua Capitale, la fortezza interna demolita fino all'ultima pietra nera. Le sue truppe, la sua guardia del corpo, l'intera Legione d'Ebano massacrata. Non era importante quanto lui singolarmente fosse più potente o quanti ne abbattesse. Non faceva in alcun modo la differenza. Per ogni Malhim abbattuto o distrutto, altri dieci arrivavano discendendo dai cieli luminosi. Stupidi e ottusi, continuavano ad arrivare come un oceano impazzito, inarrestabile ed infinito.
La furia di Abbadon aumentò insieme al suo potere. Osservò il Gran Disegno dispiegarsi, minuzioso ed implacabile davanti ai suoi occhi impotenti: no, i suoi cavalieri infernali non venivano distrutti, venivano metodicamente immobilizzati e catturati. A loro non era concessa morte o una onorevole distruzione. La degna fine per un guerriero. No, a loro, Caduti, non era permesso andarsene semplicemente. Paventava una fine ben peggiore. Tutti loro ne erano sempre stati consci ma nessuno nella Legione D'Ebano e tanto meno il loro Principe aveva mai osato anche solo pensarci. Ora era davanti a lui. La sconfitta e la cattura.
I suoi pensieri lo avevano distratto per troppo tempo, un battito di cuore umano o poco più. Attorno a lui, in mezzo a quella distesa di macerie, fuoco e fumi d'inchiostro non vi era nemmeno un Caduto. Soltanto un oceano di mostri celestiali e luminosi. Nessuno di loro poteva guardarlo dietro quelle loro orrende maschere di luce. Ma riusciva a leggerci dentro la bramosia. La contraccambiò. Urlò. Le onde soniche sconvolsero il selciato residuo. E mentre macerie e lava esplosero, la terra stessa si aprì sotto di lui.
Dispiegò le sei ali, che presero fuoco all'istante più ardenti che mai. Il Cielo pianse.
Abbandonò le lame Siyr, assorbendole e conficcandosele dentro gli artigli. Ne assunse direttamente la forza distruttiva. Un dolore persistente gli testimoniò il successo della trasmutazione delle Siyr in artigli, accompagnandolo nella sua crociata di morte. Non voleva metalli estranei nella sua scia di mutilazione e morte. L'aria si infranse, sibilando, torcendosi fino a collassare completamente.
Con tutta la potenza e la disperazione di un principe dannato, Abbadon li caricò. Distruzione e Amore per la stessa, le uniche forze dentro di lui. Consumato ed alimentato da Rabbia e Vendetta.
L'energia delle Siyr, intrappolate nelle sue braccia e nei suoi artigli, lo divorava, da dentro a fuori, ma sua forza era incrementata a dismisura. L'unico modo di affrontare una battaglia impossibile come quella. Alcuni Malhim cessarono di esistere all'impatto con l'Arciduca, una volta vassallo di Lucifero. Per ogni anima consumata la forza vitale di Abbadon veniva indebolita a sua volta. - Un stilla della mia anima per la vostra morte ultima - ecco l'evocazione ossessivamente cantata dal principe demone. Per quanto fosse impossibile anche da concepire, lungo un lento rabbioso respiro apparve del suolo libero attorno all'Arcidiavolo, tanti furono i caduti tra i Malhim. Digrignò i lunghi filari di denti della forma Apocalittica in cui era imprigionato da ore. Respirò fiamme e odio, nutrendosi di entrambi, in un'estasi rapita.
Sui non-volti degli automi celesti apparve il glifo corrispondente al concetto più spregevole per un caduto: Prigione. Abbadon rimase cupamente in attesa fino a quando l'Oceano di Malhim davanti a lui non fu interamente decorato con quella runa. Dalle spaccature del fine marmo decorato, un fiotto di magma delle profondità più recondite del pianeta scaldò gli zoccoli dell'Arciduca, ribollendo senza requie.
Repentino e implacabile Abbadon si scagliò verso il più vicino degli automi, che per quel breve istante parve farsi piccolo e quasi indifeso. Lo afferrò e percepì la marionetta incompleta che stringeva tra gli artigli insanguinati. La scosse. La studiò. La punse. Ci giocò come il giocattolo che sembrava essere. Lo trafisse. Nemmeno un movimento da parte della schiera attorno a lui. Gli strappò gli arti inferiori. Nemmeno un lamento, nemmeno una reazione di vendetta attorno a lui. Gli strappò le mani una alla volta. Le Siyr Celesti caddero a terra inghiottite nel magma, ma le braccia del Malhim vennero consumate lentamente una molecola alla volta, con tutta l'agonia che un Angelo Superiore come Abbadon poteva risvegliare in un corpo tanto resistente. Nessuno urlò, nessuno si mosse. Abbadon lo fece. Colpendo con tutta la veemenza impazzita, il suolo si spaccò in due e si divise. Una tempesta di lava infuriava in mezzo alla schiera celeste che lo circondava, dividendola.
"Nefandezze immonde! Ho dilaniato, mutilato ed umiliato il vostro stupido fratello. L'ho fatto soffrire con una tale arte che anche Lucifero, il Principe Rinnegato, avrebbe pianto... E voi patetici fratellini minorati non avete nemmeno mosso un dito. Nessuno di voi vale anche solo un arto di questo guerriero. Lui sta conoscendo il concetto finale: quello che attende tutti voi! Lui, finalmente, nel suo silenzio ottuso, comprenderà. Ora, proprio in questo istante:Il Dolore..." tuonò l'Arciduca Infernale, incidendo il glifo corrispondente dentro l'anima del Malhim. Senza emettere alcun gemito, la forma straziata cominciò suo malgrado a tremare convulsamente. Tale era il potere di Abbadon, padre e maestro nell'arte delle percezioni superiori. Dolore, ecco cosa era diventato il Malhim. "... Ma questo a voi non basta? Dico proprio a Voi!" il ringhiò divenne più cupo, mentre gli occhi di Abbadon si volsero verso il Cielo. Le schiere di Malhim impassibili non si mossero, completando idealmente lo schema di accerchiamento attorno all'ultimo Caduto rimasto libero nella cittadella. Un virtuosismo sterile ed impassibile. Perfetto e bellissimo. Come solo il Gran Disegno e l'Ineffabile Michele avevano potuto concepire.
"Siete ornati da maschere di Luce. Quale immeritato premio per le vostre ignobili carcasse. Non meritate la Luce. Non l'avete mai scelta. Non l'avete mai amata... né odiata!" gli occhi di Abbadon si chiusero, un sorriso silenzioso dipinto sul suo volto.
"Non vi nasconderete più alla mia vista, macchine spregevoli." e conficcò con la massima forza gli artigli dentro la maschera del Malhim, strappandola dalla carne angelica un brandello alla volta, nella maniera più dolorosa possibile. E per il legame simbiotico delle Siyr dentro di lui, Abbadon stesso attraverso le mani, subì parte di quel dolore. Trasalì, scoprendo ben presto che quella non era una semplice maschera corazzata, ma la cagione stessa del costrutto angelico, prigione e nutrimento stesso della sua anima malforme. Scoprì l'angelo deforme e avvizzito al di là del velo di luce. Si odiò nell'istante in cui la compassione fece capolino nella sua rabbia pura ed incontaminata. Maledisse la sua nascita nell'Amore del Creato e la ripudiò con ardore e passione.
"E' questo, in ultima istanza, che siete... miseri angeli... indegni di portare la fede o il peso della scelta. Incapaci di Cadere.... Voi siete... semplice... Nulla!" e così come spazzò via il concetto stesso dalla sua mente e dal suo cuore, dissolse il volto sfigurato del angelo morente tra le sue braccia. Ma si premurò di allungare nel tempo quel dolore al massimo possibile. Rise, cupamente. Tremò dentro per tutto il male ed la rabbia che era in grado di contenere. Quel giorno, tutte quelle macchine di morte, quegli angeli feriti ne avrebbero goduto. E lui sarebbe caduto sconfitto sì, in catene ma in gloria, marchiando quegli stupidi e miseri giocatoli per sempre.
-Fratelli, quanto siete patetici, vi disprezzo e vi ammonisco. Voi non siete per me pari. Voi non siete Niente.- Pensò freddamente Abbadon, seppellendo questo singolo pensiero nel magma ribollente del suo spirito.
Nell'attimo in cui la Schiera Implacabile si avventò all'unisono contro l'Arcidiavolo, lui attaccò a sua volta. E su tutti i Malhim, l'oceano silenzioso ed inarrestabile che stava abbattendosi su di lui, comparve l'Evocazione in Enochiano "Unione". Ma nella sua infinita perfidia Abbadon non condivise la forza dei suoi attacchi, il suo desiderio di morte. Quello che condivise fu l'unica scintilla di autocoscienza del Malhim prima della propria dipartita. L'autoconsapevolezza della solitudine. Di quanto fosse inerte nei confronti dell'Esistenza, di Abbadon, dei Suoi Fratelli storpi e menomati e soprattutto nei confronti del Creatore. Quella solitudine colpì la schiera dei Malhim nello stesso istante in cui Abbadon fu intrappolato e sconfitto e in un modo completamente nuovo lui nacque come vero Demone. Nel Dolore e nella Rabbia.
Quando Michele posò gli occhi sulla scena, seduto sul suo trono di luce, con orrore misto a disgusto constatò la forza di Abbadon. Tenendo fede al suo nome ovvero "Distruzione", aveva, sebbene sconfitto, annientato l'intera armata preposta alla sua cattura. I volti straziati e senza maschera, di mille fra i più terribili Malhim giacevano scomposti e morenti ai piedi dell'Arciduca Infernale intrappolato. Irrecuperabili. Soli e in preda a rabbia, impotenza e dolore. L'Abisso inghiottì Abbadon, portandosi via insieme a lui, quei rifiuti tanto scomodi alla Schiera Angelica. E anche quella cittadella demoniaca fu purificata dai Caduti. Non rimaneva che Gennhinnom e La Stella del Mattino da conquistare, un piacere che il Primo fra i Sette pregustava da tempo immemore. Abbadon aveva solo stimolato il suo appetito.


Alessandro Sidoti

Nessun commento: