mercoledì 2 gennaio 2008

Del suo sangue

L'avevano trovata in un mare di sangue. Il suo. Il giorno dopo riempiva pagine e pagine di giornali.
Sei contento papa'? Tutti parlano di me. Della tua Savia. In ufficio, a scuola, a tavola; non si parla d'altro.
Una sola parola aleggiava nell'aria: agghiacciante; semmai si potesse racchiudere in una parola, la scena che si era presentata agli occhi degli addetti ai lavori.
Era stesa sul pavimento di cucina. La faccia, quello che ne rimaneva, rivolta al soffitto. Le avevano portato via anche lo sguardo. Al posto dei suoi occhi da cerbiatto, un unico solco.
Centoventi colpi. Centoventi affondi, nella sua carne d'ambra; ora ridotta a brandelli attraversati da fiumi di sangue, ormai rappreso.
Papà, mi vedi ancora bella, vero? Si lo so, il tuo amore è grande.
Eugenio non ha retto il colpo, anche se i carabinieri hanno evitato accuratamente che vedesse il corpo di sua figlia ridotto a quel modo, ha capito l'entità della tragedia e non fa altro che ripetere, come una nenia: “Si doveva sposare tra un mese. Era bellissima”.
Al suo funerale tutta Boverata assiste raccolta in uno spettrale silenzio. Nella piazza davanti alla chiesa tutta la gente non riesce ad entrare; chi è arrivato piu' tardi si distribuisce nei vicoli che circondano la piazza. Vista dall'alto oggi Boverata, pare una margherita e i vicoli sono i suoi petali. Savia amava le margherite, da piccola con Lucia, si divertivano a raccoglierle e a giocare al m'ama non m'ama. Finiva sempre che non l'amava nessuno, allora Lucia se la stringeva forte a sé dicendole: è un gioco Savia, è solo un gioco.
Ora Lucia, è seduta nella seconda panca, accanto a Giulio; il suo fisico asciutto insieme al volto così scarno la rendono scheletrica, intanto Giulio nasconde due occhi rossi e colmi di lacrime dietro ad un paio di occhiali scuri e spesso, quasi per ironia della sorte, si fa sorreggere il corpo possente e muscoloso dalle esili braccia di Lucia.
Vedi papà? Ricordi? Ricordi quante volte ti dicevo che Giulio non era geloso, che capiva quanto era importante per me Lucia e quanto eravamo unite.
Ma Eugenio, seduto nella prima panca, ricorda i giorni che usciva di corsa da lavoro per andare a prendere a scuola Savia, ricorda quante preoccupazioni e speranze riempivano la testa di un uomo abbandonato da una moglie, con una figlia di appena dieci anni da crescere. Per la gente di Boverata resta “il singolo”; così lo chiamano, un po' perchè non ha piu' avuto una donna, un po' per il suo carattere serio e introverso che con gli anni si è fatto ancora piu' scostante.
Si gira spesso dietro, verso Lucia, ma il suo sguardo non cerca conforto.
Non c'è sonno la notte, senza piu' Savia. Non c'è sonno per la gente di Boverata che si domanda se il mostro è uno di loro. Non c'è sonno per Giulio che non riesce a spiegarsi. Non c'è sonno per Lucia che si sente morta anche lei. Non c'è sonno per Eugenio.
Papa', quanto amore disperso. Quanto amore mancato.
Nei giorni successivi al funerale gli inquirenti hanno scandagliato la vita di Savia, in cerca di un indizio, un movente; hanno interrogato per ore Giulio. Ai loro occhi, l'omicidio ha tutte le caratteristiche di un delitto passionale, ma Giulio ha un alibi di ferro: quel giorno era a Milano per un concorso. Anche Lucia viene interrogata piu' volte, anche se a detta del medico legale, i colpi sferrati su Savia sono opera di mano maschile; l'assasino potrebbe aver usato un martello, o qualcosa di simile. Lucia è scossa, cade spesso in contraddizione, come se dovesse nascondere qualcosa. La notte prima dell'omicidio era rimasta a dormire a casa di Savia, capitava spesso, era un abitudine nata ai tempi della scuola; Lucia ci scherzava su. Eugenio stasera hai ospiti, se ti sentiamo russare facciamo come quella volta con il sale, ma stavolta non ci fermiamo a qualche manciatina, ci versiamo tutto il pacco, capito?
Eugenio, stringeva gli occhi e tirava le labbra sotto quei grandi baffi bianchi, a mo' di sorriso; il massimo che sapesse fare.
Papa', quella notte non hai russato. Mai. Forse non hai neanche dormito. Chissà che cosa ti passava per la testa. Chissà se hai solo origliato, oppure, come fanno i bambini, hai sbirciato dal buco della serratura. Chissa' se inizialmente hai pensato, che stessimo solo giocando. Papa', se il giorno dopo a pranzo, non ti avessi detto che non mi volevo piu' sposare, mi avresti accompagnato all'altare comunque? Papa', perchè non mi hai fatto domande? Papa', perchè non hai voluto sapere?

Roberta Colombini

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