lunedì 4 giugno 2007

Mi piaci quando taci

“Le parole sono perle
custodite dagli abissi marini,
e aspettano qualcuno,
disposto ad immergersi fino in fondo
per poterle ascoltare.”

Con la testa appoggiata al finestrino vedo scorrere davanti ai miei occhi piccole case dai tetti appuntiti in ardesia, con finestre guarnite da vasi ricolmi di geranei rossi e rosa, dietro alle tendine bianche ricamate, immagino bambini dai capelli biondi e la pelle di porcellana seduti al tavolo davanti ad una ciotola di latte e cereali. Stiamo attraversando l'Austria. E' tutto così pulito, perfetto, ordinato. Vorrei che anche dentro di me fosse così.
Poi una voce mi distoglie da quei pensieri.
– Mamma, mi passi per favore l'mp3, è nella tasca anteriore dello zaino. Grazie.
Alberto ha modi gentili, a volte femminili, è sempre stato un bambino tranquillo e anche nei viaggi lunghi non si spazienta, trova il modo di trascorrere il tempo.
– Ecco qui, Alberto, ma non tenere troppo alto il volume sai che puo' danneggiarti l'udito.
Mentre glielo passo, dietro la sua testa intravedo Francesco con il capo reclinato all'indietro appoggiato allo schienale, gli occhi chiusi, serrati, saranno tre ore che dorme ininterrottamente; non l'ha svegliato neanche il controllore quando nell'aprire la porta dello scompartimento, ha urtato contro il suo ginocchio destro.
Il nostro viaggio è iniziato diverse ore fa, domani arriveremo a Praga, la meta delle vacanze estive di quest'anno.
Ho ancora aperta sulle gambe la guida turistica; riprendo a leggerla, ma si, basta con le elucubrazioni!! Voglio godermi questi giorni, assaporare l'aria di questa città magica, godere della musica che risuona in ogni angolo della strada. Lo desidero da tanto.
– Anche voi a Praga?
– Si.
– Mi presento. Sono Mauro.
– Piacere Lara.
Che sciocca, sto arrossendo, per togliermi dall'imbarazzo dico la prima cosa che mi viene a mente.
– Speriamo che il tempo sia buono.
– Già.
E' seduto davanti a me, ora sorride e porta il suo sguardo fuori, è solo. E' salito alla stazione di Bologna, prima ha letto La Repubblica, poi un libro che non sono riuscita a riconoscere, ora ha in mano un libro di poesie di Pablo Neruda, ne legge alcuni versi, sospira. Mi rendo conto che non posso fare a meno di guardarlo, ha tratti scuri, occhi profondi e neri e delle bellissime mani. Sono un estimatrice delle mani, mi piacciono quelle affusolate e magre, mi trovo a pensare alle sue mani che carezzano la mia pelle e me ne vergogno un po'; perchè sono qui seduta insieme a mio figlio e mio marito, dovrei pensare a loro, guardare loro, una buona madre e moglie fa così; invece mi perdo sempre di piu' nelle mie fantasie, continuo a sognare come un ragazzina. Non so niente di lui e proprio questo mi affascina. Posso investirlo di tutto cio' che vorrei e che non ho il coraggio di cercare e di vivere.
Tengo sotto controllo la situazione; non appena china la testa per la lettura o volge lo sguardo, lo osservo attentamente, alla ricerca di quelle movenze che disegnano il carattere, definiscono la persona.
– Passami l'acqua.
Francesco si è svegliato. Prende frettolosamente la bottiglia dell'acqua guardandomi severamente. E' incazzato, è così evidente, lo riscontro dall'espressione di Mauro: un misto di incredulità e sorpresa.
– Non sono molto comodi per dormire questi treni, finisce che ci risvegliamo piu' stanchi di prima, vero?
– No, assolutamente, ho dormito benissimo.
– Mi presento. Sono Mauro. Quindi anche voi a Praga.
– Andiamo a Praga. Si.
– Tu sei....
– Francesco, mi chiamo Francesco.
Sorrido imbarazzata, le risposte secche di Francesco hanno calato un velo di freddezza incomprensibile. Mauro si alza ed esce, vorrà fare due passi nel corridoio, oppure togliersi da una situazione di disagio.
– Che c'è Francesco? Perchè sei arrabbiato?
– Niente. Perchè, ti sembro arrabbiato?
– Si, e non capisco.
– Lo sai bene, non fare la santarellina. Non sono uno stupido, io. Me, non mi prendi per il culo, hai capito?
– Finiscila, ti prego. Non è il caso.
– Sei sempre la stessa.
Alberto continua ad ascoltare la musica, almeno questa volta è stato risparmiato, o forse ha capito e per questo tiene alto il volume.
Sale dentro me prepotente la rabbia, che insieme alla sconforto, indebolisce l'istinto fino a confinarlo nel mio abisso.
Quando Mauro ritorna, io dormo, anzi faccio finta di dormire. Mi sono presa una vile e breve fuga, dai problemi, dalla vita.
Il viaggio continua, intervallato da brevi frasi di circostanza. Mauro si rivolge sempre a Francesco, pare abbia capito. Scopro dai suoi discorsi la passione per l'arte, la musica, la scrittura. Anche lui è stato a Parigi. Anche lui ne ha subito il fascino. Parla un italiano corretto senza inflessioni dialettali, si muove con delicatezza e garbo. Intervengo solo per rispondere alle domande di Mauro, mi pare di notare una certo compiacimento da parte sua, quando parlo dei luoghi che vorrei visitare a Praga, dell'atmosfera che spero di trovare. La tensione iniziale non si è ancora sciolta e mi scopro piu' silenziosa del solito. Eppure avrei tante cose da dire; da dirgli.
Arrivati a Praga, ci salutiamo augurandoci una buona visita della città.


La prima tappa del nostro viaggio è il quartiere ebraico e le sue sinagoge, considerato che domani è sabato e saranno chiuse.
Josefov è il nome del quartiere ebraico, in onore di Giuseppe II che ebbe il pregio di abolire – almeno parzialmente – le leggi discriminatorie emanate nei confronti degli ebrei. Alla sinagoga Pinkas c'è una discreta fila di visitatori, dopo una ventina di minuti riusciamo ad entrare. Sulle sue pareti sono scritti i nomi degli oltre 77.000 ebrei cecoslovacchi che non fecero ritorno dal campo di concentramento di Terezìn. Conoscevo questo particolare e ora che sono qui immersa nel silenzio rispettoso che si stende nell'aria, ogni nome, ogni lettera impressa sui muri pare urli tutta la bestialità e l'immane tragedia subita. Stento a muovermi, una forza estranea e inaudita mi tiene incollata al pavimento, attonita, impietrita. Quando faccio per voltarmi e cercare Francesco ed Alberto, invece vedo Mauro. Anche lui mi vede, sorride appena e viene verso di me, si avvicina.
– Impressionante.- mi sussurra.
Sto per rispondergli, quando una voce sostenuta, dietro me
– Andiamo dai, ci sono ancora tante cose da vedere.
Francesco è sbucato dal nulla e come una meteora e' piombato su di noi, cristallizzando il tempo.
– Scusaci, dobbiamo andare.
Dopo il vecchio cimitero ebraico, dove le tombe sono sovrapposte le une sulle altre, visitiamo la sinagoga Klausen. Francesco e Alberto sono piu' veloci di me e decidono di aspettarmi fuori.
– Noi usciamo. Ti aspettiamo ad un bar qua fuori. Dacci un taglio, non è che puoi vedere tutto!

– Conosci la leggenda del golem?
Di nuovo lui, con il suo fare discreto, neanche avesse immaginato cosa mi stava passando per la testa.
– Si, pare si trovasse nella soffitta della sinagoga vecchia-nuova, che fosse stato creato dall'argilla e che il Rabbi Low, con i suoi poteri, gli avesse dato vita. Si narra che quando il golem, da servitore fedele, si ribellò al suo padrone, Low dovette distruggerlo.
– Proprio così. Sai, faccio parte di un gruppo teatrale e quest'inverno abbiamo messo in scena questa leggenda.
– Interessante, l'avrei vista volentieri.
– Avrebbe fatto piacere anche a me. Anche se abbiamo parlato poco, mi sembra di conoscere le tue inclinazioni, i tuoi interessi, probabilmente perchè sono anche i miei.
Continuiamo insieme la visita della sinagoga e quando gli dico che dopo andremo sul Ponte Carlo, passando per la piazza di Staré Mesto e la Karlova, si entusiasma e decide di venire con noi.
Dentro la mia testa un groviglio di pensieri, come reagirà Francesco? Lo conosco bene, è convinto che Mauro sia interessato a me, e che io stia facendo la stupida, che gli dia corda. Niente e nessuno, in questi casi, riesce a farlo ragionare. Lui ha già definito la questione, individuato i colpevoli, sputato la sentenza.
Giunti nella piazza della città vecchia, restiamo tutti affascinati dalle guglie delle torri della Chiesa di S. Maria di Tyn che si stagliano nel cielo come punte affusolate di spade, ai vari angoli della piazza musicisti improvvisano melodie con violini, contrabbassi, sax, clarinetti. La luce del tramonto illumina i palazzi intorno alla piazza di tonalità rosse e arancio, aggiungendo calore, ad una città già di per sé intima e suggestiva. Mi piace Praga, sono contenta di essere qui, ora; vorrei che il tempo si fermasse, almeno per un po'. Francesco e Alberto, si incamminano con una certa impazienza. Da quando sono uscita dalla sinagoga con Mauro, Francesco non ha proferito parola, si è chiuso in un silenzio assordante, pesante come un macigno, tiene Alberto per mano, non lo lascia mai; forse per lui adesso è il suo unico appiglio, oppure mi vuole isolare, punire.
Attraversiamo la Karlova, con passo veloce, e giungiamo in prossimità del Ponte Carlo, la zona piu' affollata di Praga. Ai lati del ponte, artisti di strada: chi fa ritratti, chi dipinge, chi suona, insieme a bancarelle improvvisate di souvenir per i turisti. Nonostante il caos, l'atmosfera rimane magica, sarà per la Vltava che scorre sinuosa e docile, con i suoi riflessi ambrati.
Respiro quell'aria e mi entusiasmo per ogni cosa che vedo, come un bambino alle sue prime scoperte; parlo a Francesco indicandogli di volta in volta quello che attira la mia attenzione, lui non risponde, rimane cupo, ombroso; ha lo sguardo di un uomo che ha appena compiuto un delitto, gli occhi rossi, lucidi, sgranati. Mauro scambia con me sguardi che sanno di comprensione. Siamo ormai giunti dall'altra parte del ponte, nella zona di Mala Strana ed è arrivato il momento di salutarci con Mauro, che domani partirà per Berlino. I saluti sono freddi e asciutti, nonostante Mauro si prodighi a smorzare l'atteggiamento indisponente di Francesco. Gli dico che è stato un piacere, gli auguro buon viaggio; in realtà vorrei dirgli molto di piu'. Vorrei dirgli che ho apprezzato la sua discrezione, che mi dispiace non aver potuto condividere serenamente gli interessi che abbiamo in comune, che se ce ne fosse stato il modo e il tempo avrei potuto fargli capire, farmi capire; che è una buona persona e che gli auguro ogni bene. Rimane un ultimo sguardo e proprio quando sto per voltarmi, mi prende la mano dicendomi sottovoce:
– è per te.
E' un foglio ripiegato, che furtivamente infilo nella tasca della giacca, con il timore di essere vista da Francesco. Sono impaziente di vedere che cos'è, ma dovro' aspettare il momento opportuno, che con un clima del genere non si verificherà tanto facilmente. La serata prosegue lentamente, conto di guardare il foglietto stanotte. Aspetterò che tutti dormino e poi mi chiuderò in bagno. Si farò cosi'.
Osservo il soffitto di questa camera d'albergo, sdraiata su un letto che pare avere chiodi al posto dei lenzuoli, tendo l'ascolto per distinguere il respiro di Francesco quando si fa piu' pesante, quando posso sentirmi al sicuro.
Ci siamo. Ho nascosto il foglio tra l'ovatta che uso per struccarmi. Lo apro. E' la pagina strappata di un libro, di poesie:
Mi piaci quando taci
mi piaci quando taci perchè sei come assente,
e mi ascolti da lungi e la mia voce non ti tocca.
Sembra che gli occhi ti sian volati via
e che un bacio ti abbia chiuso la bocca.

Poiche' tutte le cose son piene della mia anima
emergi dalle cose, piena dell'anima mia.
Farfalla di sogno, rassomigli alla mia anima,
e rassomigli alla parola malinconia.

Mi piaci quando taci e sei come distante.
E stai come lamentandoti, farfalla tubante.
E mi ascolti da lungi, e la mia voce non ti raggiunge:
lascia che io taccia col tuo silenzio.

Lascia che ti parli pure con il tuo silenzio
chiaro come una lampada, semplice come un anello.
Sei come la notte, silenziosa e costellata.
Il tuo silenzio è di stella, cosi' lontano e semplice.

Mi piaci quando taci perchè sei come assente.
Distante e dolorosa come se fossi morta.
Allora una parola, un sorriso bastano.
E son felice, felice che non sia così.
(P. Neruda)

Roberta Colombini
(ispirazione: versi di poesia.)

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