martedì 12 giugno 2007

Vent’anni

“Ferrari”
“Eccomi”
L’infermiera le fece strada verso il piccolo ambulatorio. Il lettino era sistemato dietro un paravento e accanto, già accesa, c’era quell’apparecchiatura che Carla conosceva bene.
“Bene. Si Spogli e si metta su un fianco” le disse dolcemente Cristiana. E poi aggiunse sorridendo: “Non credo di doverle spiegare niente, la procedura la conosce”.
“Eh già, credo proprio di sì.”
“Vuole che le somministriamo un leggero anestetico?”
“Sì, grazie, le ultime volte ho sentito un po’ male…e se si può evitare…”
“Certo, perché soffrire quando si può evitare. L‘ha accompagnata qualcuno, vero? L’effetto durerà per qualche ora e non potrà guidare”.
“Sì, non si preoccupi”.
Marco era nella sala d’attesa che leggeva il giornale, “Perché sei così preoccupata? Sarà la decima volta che fai quest’esame!”, le aveva detto mentre aspettavano che la chiamassero.
E’ vero, ogni tre anni si sottoponeva a questo esame, ma questa volta, come del resto anche la volta prima, non aveva più l’incoscienza degli anni precedenti, l’età avanzava e le probabilità che le scoprissero qualcosa aumentavano.
La sua era una paura inconscia, non c’era niente che le facesse sospettare che qualcosa non andava, era come un brutto presentimento, un pensiero che non le aveva permesso di dormire la notte per una settimana prima dell’esame. Eppure fisicamente non si era mai sentita meglio come in quest’ultimo periodo…
“E’ pronta?”
“Sì, dottore”
“Allora procediamo”

Il calore della mano di Marco, che le stava accarezzando dolcemente il viso, le fece aprire gli occhi. Si ricordava vagamente che qualcuno l’aveva aiutata a rivestirsi, ricordava di aver ripetuto quei gesti così familiari in maniera meccanica, poi il buio.
Chissà come ci era arrivata su quella poltrona. Ce l’avevano portata o aveva camminato da sola?
“Come ti senti?”
“Un po’ stordita. Come è andata?”
“Stavamo aspettando che ti svegliassi per andare dal dottore. Ci chiameranno tra poco”
Carla si voltò verso la finestra, la testa era pesante e ricadde leggermente su un lato. Cercò di guardare fuori ma il biancore di quel cielo invernale la fece desistere, non riusciva a tenere gli occhi aperti. Passò un po’ di tempo, non avrebbe potuto dire quanto, ma il tempo in cui riusciva a tenere gli occhi aperti aumentava sempre di più. Aveva fame, tanta fame, da più di ventiquattro ore il suo stomaco non aveva accolto che liquidi. Aveva voglia di un bel piatto di pasta al pomodoro, con tanto formaggio.
“Prego, signora. Il dottore è pronto”
Marco l’aiutò ad alzarsi e, presala sottobraccio, si diressero verso lo studio del dottore.
“Buongiorno signora Ferrari, ci rivediamo” esordì il dottore sfoderando il suo sorriso migliore.
“Buongiorno dottore” si limitò a dire Carla.
“Allora signora, niente di preoccupante, però abbiamo riscontrato la presenza di un polipo che deve essere tolto abbastanza velocemente per fare una biopsia”
Lo sapeva, lo aveva sentito che c’era qualcosa. Vide Marco cambiare faccia, ma a lei la notizia non fece quell’effetto che si aspettava, forse perché era ancora sotto l’effetto dell’anestetico o forse perché prima o poi sapeva che sarebbe successo.
La sua mente tornò indietro nel tempo: ospedali, operazioni, esami su esami, viaggi della speranza e alla fine il verdetto, impietoso, irreversibile: un anno, un anno e mezzo al massimo.
Il dottore capì a cosa stava pensando, c’era anche lui all’epoca.
“Carla, sono passati vent’anni e la medicina ha fatto passi da gigante. Lo abbiamo individuato in tempo questa volta, le do la mia parola che lo sconfiggeremo, si rende conto di quanto è stata importante la prevenzione. Sono anni che la teniamo sotto controllo, non ci sarebbe potuto sfuggire”
Carla sorrise.
“Lo so” si limitò a dire.
Marco prese gli accordi sul da farsi con il dottore, lei non era in grado di farlo in quel momento. Si limitò a guardarli mentre parlavano di lei, mentre una grossa lacrima, incontrollata, le rigava la guancia destra.

Si avviarono verso l’uscita, “Aspettami qui, vado a prendere la macchina”.
Faceva freddo ma aveva bisogno di aria, si avvicinò alla porta che si aprì di scatto permettendole di uscire. Fece qualche passo e si appoggiò al muro, lo sguardo rivolto verso quel cielo bianco, come a cercare qualcosa, come a cercare qualcuno. C’era qualcuno lassù che poteva capire quello che stava provando in quel momento. Ne era certa.
Arrivarono sotto casa.
“Vado in farmacia a comprare le medicine che ti ha segnato il dottore. Ce la fai a salire da sola?”
“Sì, ce la faccio”.
Scese dall’auto e si diresse verso il portone, ma una volta entrata sentì il bisogno di uscire di nuovo.
Chiuse la porta. Uno scatto solo, secco.
Alzo' lo sguardo verso quel cielo plumbeo, lacrimante neve. Fiocchi gelidi si sciolsero sugli occhi.
Non piu' lacrime pensò, correndo incontro al suo domani.

Cristiana Belcari
Input: Finale (Roberta)

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