mercoledì 7 marzo 2007

La serenità di Alfredo

Alle 8,02 salì sul bus, come tutte le mattine, e salendo si preparava a rimproverare l’autista per i 2 minuti di ritardo, come tutte le volte che il bus ritardava; fosse anche di un solo secondo. Passando accanto al conducente borbottò qualcosa fra sé e sé al suo indirizzo, ma l’autista non se ne accorse nemmeno.
Alfredo Santini, pensionato in pensione. Aveva subito un infortunio sul lavoro a 25 anni ed aveva ottenuto una sostanziosa pensione, grazie all’interessamento di influenti amicizie di suo padre, finché non aveva raggiunto l’età in cui tutti vanno in pensione.
Alfredo come tutte le mattine scese alla fermata davanti alle Poste Centrali, quella più vicina al supermercato nel quale faceva spesa. Le porte si aprirono al suo passaggio. Questo momento gli piaceva molto perché gli ricordava Mosè che attraversava il Mar Rosso, guidando il suo popolo. Poi, con gesti consumati, si infilò una mano in tasca estraendo il promemoria dettato dalla moglie e scelse con cura i prodotti, facendo attenzione a non confondere la marca. Sua moglie era molto pignola in questo. Le piaceva il profumo del tale lavastoviglie, la morbidezza che lasciava quello specifico detersivo, il sapore di quella particolare acqua naturale. Poi sarebbe andato a prendere il pane, dal fornaio. Anzi, dai fornai. A suo figlio maggiore piaceva il pane del Forno Rossi, perché era più croccante. Il figlio minore invece preferiva il pane del Pastificio Del Sole, perché aveva quel retrogusto salaticcio che si abbinava tanto bene agli arrosti. C’era da capire l’utilità di questo pane nei giorni in cui non c’era l’arrosto, ma questa per lui era una questione secondaria.
I figli erano già grandi, e disoccupati. Ogni tanto qualche lavoro temporaneo spezzava mesi di noiose mattinate passate a letto. “Colpa di questo governo che sa solo rubare....”.
Con le buste della spesa in mano si recò in banca. Sua moglie Maria si era risentita per un’imprecisione sull’ultimo estratto conto: “Ci hanno derubato di 98 centesimi” aveva urlato, aggiungendo “....e te non fai niente?”. Silenzioso, come sempre, aveva preso quel foglio e se l’era messo in tasca facendo intendere che se ne sarebbe occupato il giorno dopo. Attese con pazienza il suo turno finché non si trovò davanti al cassiere che, dietro al vetro, gli diede il buongiorno.
Rimase per un attimo infastidito da quella gentilezza visto che era lì per lamentarsi. Poi chiese spiegazioni su quei 98 centesimi che erano stati sottratti ingiustamente. Cercò di essere convincente nelle sue rimostranze, ma mentre parlava pensava che anche per un bravo pilota è difficile guidare l’auto di altri. Attese spiegazioni. Il cassiere, guardando l’estratto conto, elencò termini ignoti, sottratti dall’IVA e aggiunti a parole sconosciute, tutto senza possibilità d’errore. La luce del neon rimbalzava strana sul vetro che li divideva, rendendolo quasi uno specchio. Alfredo vedeva la sua faccia riflessa che sembrava attaccata al busto del cassiere e la voce che parlava non aveva fonte. cosicché si ritrovò, senza accorgersene, a muovere la bocca per dare una madre a quei suoni orfani.
“Ha capito?” chiese il cassiere. “Si, grazie” si rispose guardandosi nel vetro. E uscì senza avere capito niente.
Rincasò verso le 11, in tempo per preparare il pranzo. Il figlio maggiore si lamentò, perché nel rientrare aveva chiuso la porta troppo forte e l’aveva svegliato.
La moglie chiese come mai aveva fatto così tardi. Mentre il giorno prima, che era rientrato alle 10, gli aveva chiesto come mai era rientrato così presto. Di lì a poco sarebbe rientrato l’altro figlio, dal bar. Sarebbe stato di pessimo umore perché la sera prima la sua squadra aveva perso, giocando in una partita di coppa.
Mentre lo pensava sentì che la porta si chiuse: “Vaffanculo quei tedeschi e quel gol in fuorigioco.”
La consuetudine lo stava logorando, eppure in questa monotonia trovava quella sicurezza senza sorprese. L’importante era lasciarsi scivolare addosso i giorni, come pioggia sugli ombrelli. Quell’accondiscendenza in fondo gli era valsa l’appellativo di “buon padre di famiglia”, un presunto rispetto di cui andare fieri.
Eppure c’era quell’illogico impulso che fermentava, quella voglia incomprensibile di sentirsi, per una volta, padrone delle sue scelte. Quella voglia inspiegabile di dire, per una volta, “no”

Le persiane erano semichiuse, per contrastare la luce del sole estivo. Il silenzio veniva interrotto solo dal rumore delle posate sui piatti, mentre sei occhi su otto erano rivolti verso quello scatolone colorato, all’interno del quale pseudo-ballerine ballavano, pseudo- presentatori presentavano e pseudo-cantanti cantavano, addormentando abilmente inconsapevoli cervelli. Gli altri due occhi, quelli di Alfredo, erano distanti da tutto e brillavano di una strana luce.
Si alzò da tavola che gli altri non avevano ancora finito.
“Ma dove vai?” gli chiese Maria.
“Vado al bar a prendere il caffè”. E scomparve, sorridendo, nello sbattere della porta.
Maria e i figli si guardarono ad occhi sgranati. Non aveva mai preso il caffè al bar!

Un leggero vento attenuava la calura, e l’ombra dei tigli leggermente allungata era la sua meridiana, il suo orologio per quel pomeriggio da folle. Guardava il lago, davanti a sé, mentre il parco cittadino si andava velocemente riempiendo di mamme e bambini.
Un vagabondo, con la sua casa a spalle, si mise a sedere sulla riva immergendo le gambe nell’acqua per cercare refrigerio.
L’aveva fatta grossa; uscire di casa in quella maniera......
E cosa si sarebbe inventato, quale valida scusa gli avrebbe evitato la sequela di rimproveri?
Non avrebbero capito. Come poteva dire che non li sopportava più, che era stufo di vivere, che per una volta, l’unica volta, voleva essere padrone di sé stesso.
Guardava il lago, così come si guarda una donna prima dell’amore. Il vagabondo si era rialzato e camminava con passo incerto; probabilmente era ubriaco.
L’acqua ferma dava ad Alfredo quel senso di pace che forse non aveva avuto nemmeno da bambino.
Poi, d’improvviso si alzò e corse verso quella tavola celeste......

Erano quasi le 20. Il campanello di casa Santini suonò due volte. Maria si precipitò alla porta. I figli erano in camera a scaricare musica in mp3. La televisione era accesa su un canale locale.
Nei pochi metri che la separavano dalla porta, la donna s’immaginò la figura che le sarebbe apparsa davanti. Con il cuore in gola si trovò davanti due agenti di polizia, poi due vigili, e ancora un medico che, in borghese, avrebbe detto.....
Poi aprì la porta. Alfredo, con aria felice le disse: “Scusa, ho dimenticato le chiavi”.
Non fece caso alla serie di insulti e domande che seguirono le sue parole. Non lo disturbarono quelle urla sconclusionate che coprivano il motore della macchine di passaggio, che coprivano il rumore del ventilatore, che coprivano il volume del televisore mentre un giornalista, in mezzobusto sorridente, annunciava: “Oggi, nella nostra città, un pensionato ha salvato un barbone ubriaco che era caduto nel lago”.

Pierluigi Rossi
Input: Proverbio - Sto con i frati e zappo l'orto

Nessun commento: